La sua risposta nella rubrica domenicale a quella signora che lamentava la durata brevissima del matrimonio della figlia, risposta nella quale lei citava il cammino di coppie non sposate che sembrano preparare un vincolo stabile, e magari anche religioso, della loro unione, mi ha posto una domanda: lei dunque vuol dire che è meglio un cammino non “regolare” ma più meditato, piuttosto che un matrimonio anche religioso, ma esposto facilmente al fallimento?
La sua domanda è delicata. Se guardo ai dati più profondi della mia esperienza umana e cristiana, come monaco e prete devo dire il mio affetto sconfinato per le nozze cristiane. Forse entrano qui tanti motivi, a partire dalle nozze di mio papà e mia mamma, per arrivare a nozze celebrate in Africa e a nozze di miei fratelli e sorelle di Parrocchia che mi danno esempio straordinario di quella fedeltà nuziale al Signore che è il cuore della mia vita di povero peccatore amato da Dio. Tuttavia, proprio per questi motivi, devo dire anche la mia grande sofferenza per una realtà che molto spesso tante persone che mi sono care non riescono a sostenere e a custodire. Si dice che l’ostacolo maggiore percepito dalle persone nel matrimonio cristiano sia l’indissolubilità. Io non credo sia questo! Il problema delicatissimo è che il matrimonio cristiano è una vera consacrazione all’amore vissuta nel dono della persona che Dio regala allo sposo e alla sposa nelle loro stesse persone. Talvolta si sente dire: “Ti voglio un bene da morire”. Ma questo “morire d’amore” che è l’offerta della vita e che certamente è dono di Dio, è anche un cammino umanamente molto arduo. Credo si dovrebbe provare a riflettere se tale dono non abbia bisogno di una maturazione lenta e profonda. Forse quindi una “crescita” nell’impegno di una relazione così preziosa da determinare la sostanza della intera esistenza. Per me adesso è di importanza assoluta cercare di stare vicino agli sposi con tutto il mio affetto e con la mia povera preghiera. Buona Domenica a tutti da
Giovanni della Dozza.
Domenica 17 maggio 2015.
Ritengo profondamente vere le sue parole: il cuore del sacramento delle nozze è nell’accoglienza dell’altro come dono di Dio. Poiché questo cammino è umanamente molto arduo” come lei sottolinea penso che ricevere la Grazia sacramentale fin dai primi passi è un aiuto prezioso, non un impedimento a quella “maturazione lenta e profonda” che richiede il dono di sé. Ma non è così in ogni vocazione? Il morire a sé stessi non è ugualmente arduo e faticoso anche per le persone consacrate? Purtroppo nella chiesa, per tanti anni, si è considerato il matrimonio sacramento di serie B, si è educato poco sia al discernimento che alla preparazione, e oggi ne paghiamo lo scotto. Il problema è, e rimane, una questione di Fede: l’appello di Dio è quotidiano, la mia risposta non può che essere una risposta quotidiana all’amore, in qualunque ambito.
Grazie dell’attenzione, vi abbraccio fraternamente anche se vi conosco solo via web.
Maria Grazia
(catechista vecchietta, nonna orgogliosa di due nipotini, mamma di quattro figli, ma soprattutto sposa di Pierpaolo da 33 anni….)