17 I presbìteri che esercitano bene la presidenza siano considerati meritevoli di un duplice riconoscimento, soprattutto quelli che si affaticano nella predicazione e nell’insegnamento. 18 Dice infatti la Scrittura: Non metterai la museruola al bue che trebbia, e: Chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. 19 Non accettare accuse contro un presbìtero se non vi sono due o tre testimoni. 20 Quelli poi che risultano colpevoli, rimproverali alla presenza di tutti, perché anche gli altri abbiano timore. 21 Ti scongiuro davanti a Dio, a Cristo Gesù e agli angeli eletti, di osservare queste norme con imparzialità e di non fare mai nulla per favorire qualcuno. 22 Non aver fretta di imporre le mani ad alcuno, per non farti complice dei peccati altrui. Consèrvati puro!
23 Non bere soltanto acqua, ma bevi un po’ di vino, a causa dello stomaco e dei tuoi frequenti disturbi.
24 I peccati di alcuni si manifestano prima del giudizio, e di altri dopo; 25 così anche le opere buone vengono alla luce, e quelle che non lo sono non possono rimanere nascoste.
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La “presidenza” della Liturgia, soprattutto se accompagnata dalla “predicazione e dall’insegnamento” è un compito di grande rilievo che raccoglie la comunità credente nell’evento supremo della salvezza divina (ver.17). Bisogna che la comunità riconosca e compensi tale compito e tale fatica. Il “duplice riconoscimento” che deve essere riconosciuto, può forse riferirsi alla doppia citazione del ver.18, che chiede di non impedire che uno raccolga egli stesso qualcosa mentre esercita il ministero, ministero che in ogni modo merita una ricompensa da parte di chi ne usufruisce. Sappiamo che Paolo personalmente ama e vuole non usufruire di tale riconoscimento: “Quale è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo” (1Corinti 9,18).
Mi sembra molto importante che non vi sia peraltro nessuna “divinizzazione” e “assolutizzazione” di tale compito. Da una parte, quindi, si afferma il dovere di ricompensare questo impegno, e dall’altra, ai vers.19-20, si afferma la necessità di una imparziale vigilanza su un compito così delicato, sia quando si dovesse avviare un processo di accusa, sia per fare di tale frangente un’occasione non solo per l’accusato, ma per tutti: “..perchè anche gli altri abbiano timore”. Compito delicatissimo che Paolo, scongiurando il suo discepolo “davanti a Dio, a Cristo Gesù e agli angeli eletti” (ver.21), accompagna con avvertimenti severi per Timoteo che deve esercitare questo compito “con imparzialità” e senza “fare mai nulla per favorire qualcuno”. E conclude con l’indicazione: “Non aver fretta di imporre le mani ad alcuno, per non farti complice dei peccati altrui. Conservati puro!” (ver.22). Roba da “maldistomaco”, che mi piace pensare causa dell’indicazione affettuosamente severa: “Non bere soltanto acqua, ma bevi un po’ di vino, a causa dello stomaco e dei tuoi frequenti disturbi” (ver.23). Forse anche ad Efeso duemila anni fa c’era un certo rapporto tra psiche e apparato digerente!
E’ molto acuta e arguta anche l’osservazione finale dei vers.24-25: il giudizio che mette in evidenza le opere buone, inevitabilmente arriva anche a quelle che buone non sono e che “non possono rimanere nascoste”. Ogni uomo è anche un “pover’uomo”!
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.