Messa Papa FrancescoGiovanni Nicolini
Articolo per editrice LDC, Giugno 2013

Nelle vicende umane, e particolarmente nelle vicende della fede ebraico-cristiana, succede che i luoghi, i tempi e le persone che ne vengono coinvolti assumano un alto significato simbolico, e quindi abbiano il compito di evocare e rappresentare, pur nei limiti evidenti del loro manifestarsi, una funzione di alta portata. Così mi è sembrata, in modo crescente la forza non solo reale, ma forse soprattutto “simbolica”, quasi fosse un'”ikona”, della Messa che Il Papa quotidianamente presiede nella chiesa di Santa Marta in Vaticano, Non ci sono mai stato, ma forse anche per questo la cronaca dell’omelia di ogni giorno di Papa Francesco è diventata in me rappresentazione di un evento di straordinaria portata. “Come ogni buon Parroco” hanno spesso commentato le molte fonti di informazione che sono state quasi “costrette” a considerare di evidente interesse e di doverosa attenzione una piccola cosa come una Messa feriale celebrata alle sette del mattino, prima che coloro che vi partecipano debbano scappar via nei loro quotidiani impegni. È quello che io stesso sperimento nella mia parrocchia alla periferia dì Bologna, quando ogni mattina a fine messa, tutti devono fuggire verso le loro quotidiane obbedienze di lavoro e di vita famigliare. Ma qual è il valore non solo simbolico ma anche reale di questa “piccola parrocchia in Vaticano” che Francesco ha inaugurato e conduce avanti con tanta semplice naturalezza? Quali sono i contenuti preziosi e provocanti che quella Messa quotidiana esprime e dona? È che in quell’appuntamento quotidiano sono rese presenti le gemme preziose che il Concilio Vaticano Secondo ha auspicato e promosso cinquant’anni fa, ma che ancor oggi faticano a diventare volto ordinario delle comunità cristiane. Per questo ho pensato di richiamare la memoria di alcuni dati essenziali della riforma conciliare che in questi primi cinquant’anni post-conciliari hanno fatto strada, ma ne hanno fatto spesso molto poca. Innanzi tutto la prima gemma del Concilio che è stata la Costituzione sulla Divina Liturgia. Una Costituzione nata allora quasi come ripiego per non lasciare senza pronte risposte l’attesa che l’omelia inaugurale tenuta da Papa Giovanni aveva creato, costringendo tutti e tutto a ripensare in modo grande al mistero e alla vita della Chiesa. Così in quel primo documento conciliare era emersa una prima semplice “definizione” della Chiesa: la Chiesa è l’assemblea che lo Spirito Santo raccoglie intorno alla mensa dell’Eucaristia! Non una “teoria” sulla chiesa, non una sua definizione, ma piuttosto la sottolineatura del suo semplice e reale convocarsi intorno all’evento salvifico di tutta l’umanità: la Pasqua di Gesù, il Cristo del Signore, e la sua potenza di redenzione per tutta l’umanità. La Messa al cuore della fede e della vita dei cristiani. E poi tutta la Parola di Dio nella vita del credente, E quindi il superamento di blocchi, di sospetti e di divieti che la riforma protestante aveva gettato come ombra sulla Parola di Dio nella vita del credente. Negli anni del Concilio frequentavo i corsi dell’Università Gregoriana a Roma, e molti miei compagni avevano la proibizione formale da parte dei loro Vescovi di leggere la Bibbia per conto loro. AI vecchio e striminzito lezionario della vecchia liturgia, si era sostituito il lezionario ampio di tutta la Bibbia che, ispirandosi alla tradizione sinagogale dei fratelli ebrei proponeva e offriva il criterio di una “Lectio continua” di tutto il Libro Santo. E raccomandava che ogni credente entrasse in un rapporto personale profondo con tutta la parola di Dio. Fu quello il tempo in cui ai vecchi librini di meditazione, si sostituirono i libretti che per ogni giorno dell’anno riportavano i testi biblici della Messa quotidiana. Così si poteva andare a Messa un po’ preparati su quello che sarebbe stato proclamato e celebrato. Una Messa dunque che qualificava il volto della comunità ecclesiale come un Popolo, il Popolo di Dio che nato dal Battesimo viveva e cresceva nella Parola divina che è Spirito e vita: E dunque, con il documento conciliare sul rapporto tra la Chiesa e il mondo, tra la Fede e la storia, confermava che la celebrazione quotidiana della Divina liturgia è veramente la fonte e il culmine di tutto l’impegno che la comunità cristiana ha nei confronti di tutte le chiese, di tutte le religioni e di tutti i popoli.

Non ci spaventa il fatto che di tutto questo, poco finora, sia entrato nella vita quotidiana della comunità ecclesiale. Il tempo che si dedica alla messa quotidiana è spesso affrettato e frettoloso, e quindi poco capace di segnare in modo forte l’interpretazione quotidiana della vita del credente. Malgrado l’insistenza di alcuni grandi Vescovi, noi preti abbiamo quasi non raccolto la raccomandazione di accompagnare con un breve e fedele commento la Parola che ogni giorno viene donata dal Signore alla sua Sposa. La Preghiera Universale che ha il compito di collegare la Parola ascoltata con le vicende concrete e spesso drammatiche delle persone e dei popoli si è sempre più ridotta a invocazioni “stampate”, tanto vere quanto generiche e infine non immerse nella storia delle persone e dei popoli. Il Canone scelto quasi universalmente tra quelli proposti dal Messale è il Canone Secondo, il più breve, Raramente e con stupore assembleare viene celebrato il grande Canone Romano. Non ha fatto passi reali la concessione della comunione sotto le due specie.

A questo mi piace aggiungere il pensiero di quanto sarebbe positiva e auspicabile la possibilità di un intervento condiviso nel commento dei testi biblici da parte dell’Assemblea. Infine è necessario aggiungere che senza queste attenzioni per una celebrazione più impegnata e più partecipata, sia la Messa feriale che quella festiva si espongono ad una crisi profonda: come potranno le generazioni future cogliere, capire e accogliere la celebrazione, se continuasse a mancare il forte sostegno di un annuncio evangelico semplice e forte? Un grande teologo siciliano, mio carissimo amico, ricorda scherzosamente una definizione “irriverente” della Messa da parte del popolo siciliano: “Cento muti e nu’ pazzu”, cento muti e un pazzo; un’assemblea muta e passiva che osserva un uomo che compie gestì e dice parole di cui non si capisce il significato. E ricordo l’ironica osservazione di don Lorenzo Milani, che da bambino veniva condotto dalla governante al sabato in sinagoga e la domenica in chiesa per disposizione della famiglia appartenente chi alla tradizione ebraica e chi a quella cristiana. Lorenzo ne traeva la conclusione che la sinagoga fosse la chiesa degli uomini, certamente più visibili delle donne, e la chiesa quella delle donne, dove alla Messa Prima della domenica le donne erano del tutto prevalenti … con un’eccezione fissa, quella del prete, che per cortesia in quell’occasione si vestiva da donna.

Ma torniamo alla Messa quotidiana in Vaticano. Francesco, in tutta tranquillità, presiede la Messa quotidiana. Veramente come in una Parrocchia. Già questo mi sembra di grande valore. Vengono lette le Scritture previste dal Lezionario, che Il Papa commenta con fedeltà e semplicità, e con la sua grande potenza di annuncio. Così, la Parola di Dio diventa Parola per quell’assemblea, per la storia delle persone, per la situazione attuale delle Chiese, per le vicende dei popoli. Il fatto straordinario è che il Papa dia un esempio così semplice e forte di quello che potrebbe avvenire in ogni parrocchia del mondo. In questo modo la Parola proclamata, ascoltata e commentata oggi, diventa il Pane Quotidiano di questa giornata. Diventa il Pane “essenziale” per il cammino di questo giorno. Finalmente la Parola entra nella storia: non resta una “citazione” d’obbligo, non si riduce ad una “norma”, slegata dai tempi e dalle situazioni personali e collettive, ma diventa l’annuncio evangelico “per oggi”! I nostri padri ebrei uscivano dalle loro tende ogni mattina per raccogliere dalla superficie del deserto il pane del cielo che il Signore disponeva per il loro quotidiano cammino. Ogni giorno in Santa Marta la piccola comunità che si raccoglie a Messa aiuta tutte le parrocchie del mondo a ritrovare il senso profondo del loro stesso titolo di “parrocchie”: parola che proviene dalla lingua greca e che indica non una “casa” ma una “quasi casa”, una tenda. Una dimora agile che possa ogni giorno essere raccolta e sollevata per continuare il suo cammino. La Parola, infatti, continua a visitare la Chiesa per salvarla e per chiamarla nel cammino lungo il quale il Pastore Buono sta conducendo il suo gregge verso la Casa del Padre. Siamo pieni di grande e commossa gratitudine verso il nostro caro Papa che in questo modo visita la modesta vicenda delle nostre piccole comunità e le incoraggia a ritrovare il senso profondo della loro storia di ogni giorno.