Caro don Giovanni, lei non mi conosce. Le scrivo dalla Calabria dove abito da sempre. Ho rintracciato la sua rubrica attraverso il vostro sito. Ho parlato di lei con mia figlia chiedendole di venirla a trovare. Ha perso da un anno suo marito, e non trova pace. Il suo bambino ogni giorno le chiede piangendo: voglio il babbo. E questo la butta ancor più nella disperazione. Siamo cattolici dentro le tradizioni della chiesa. Ma questa risurrezione sembra così lontana e così strana. Penso che una visita da lei potrebbe consolare almeno un poco la mia povera bambina, perchè così chiamo la mia povera figlia. Non potrebbe essere lei a chiamarla a Bologna per un colloquio? Le sarei tanto grato. Perdoni se mi sono permesso. Grazie. Messaggio firmato
Mi sono ritrovato davanti questo messaggio ricevuto tre mesi fa e subito censurato. Caro amico, non le posso nascondere che una visita di sua figlia mi metterebbe molto timore. Sono persona di poca fede io. E di poca carità. Non penso che per sua figlia sarebbe sollievo incontrarmi. Per questo le dico: l’accoglierò con affetto se verrà, ma sia lei a mandarla. L’accoglierò con tutti i miei limiti, ma non potrò che condividere la sua stessa debolezza. In questi giorni la preghiera della Chiesa celebra il mistero della morte, e non sempre il dolore della gente riesce a custodire nella pacata bellezza del Vangelo e della Messa lo strappo terribile da chi se ne è andato. Siccome lei è un papà, ho pensato di farle cenno qui di un pensiero che ho ricevuto dall’esempio del mio papà, e che oggi ritrovo in termini sempre più profondi nella Parola di Dio e nell’esempio di molti intorno a me. Mio padre mi fece concretamente intendere che siamo portati a isolare eccessivamente dalla vita l’annuncio della risurrezione. Come fosse solamente l’annuncio della nostra sorte finale, ma quasi senza rilievo per la nostra vita presente. Mio papà invece mi faceva capire che tutta la nostra vita, a motivo di Gesù, è chiamata a diventare risurrezione, e che la risurrezione è lo strato profondo e lo scopo vero di ogni buon progetto della nostra esistenza. Nel mio papà ho visto proprio questo. Innanzi tutto egli riceveva ogni cosa bella per sè e per gli altri come un miracolo di vita, come una liberazione da morte e come vita nuova: quando un bambino addolorato come il suo nipotino viene consolato. Quando un muro di divisione viene abbattuto. Quando una solitudine angosciata viene visitata da una presenza affettuosa…E questo, mi insegnava mio papà, è quello che ci è chiesto dal nostro Signore: combattere la morte con la vita. Combatterla con la più grande potenza di vita che ci è stata affidata da Dio, che è l’amore. E ancora mi diceva mio padre di questo meraviglioso mettersi in mezzo da parte del Signore, che dirà alla fine: ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere…, per avvertirci che anche con un piccolo gesto d’amore possiamo celebrare la risurrezione di Cristo. Essendo di poca fede, come le dicevo, quando l’ombra della morte mi imprigiona nell’angoscia, provo a vedere se uno di questi piccoli fratelli del Signore che sono i poveri, qualsiasi povero in qualsiasi povertà, riesce ad essere per me la mano tesa di Dio che mi strappa dalla morte e mi restituisce alla vita. Con amicizia. d.Giovanni.