papa-Francesco-lampedusaGiovanni Nicolini
Dalla rubrica IL TESORO NEL CAMPO su “Jesus” di Agosto 2013.

Mentre la segreteria di Jesus giustamente ammonisce alla puntualità della consegna, mi avvicino alla domenica dei “settantadue”, quel “sei volte i dodici” che Luca sente necessario consegnarci, per dire che bisogna pensare ad una fecondità evangelica donata e chiesta ad ogni discepolo di Gesù. Una dilatazione che oggi avvertiamo particolarmente necessaria dopo secoli di eccessiva – e sbagliata! – concentrazione della predicazione evangelica nel ministero apostolico. Noi preti siamo “una specie in estinzione” ed è prezioso che venga restituita ad ogni cristiano e cristiana la consapevolezza di un impegno che è intimamente legato al dono del battesimo. Quando anni fa si è riscoperto il ministero del diacono, purtroppo senza ubbidire alla Parola che in questo ministero coinvolge anche le donne, si è persa un’occasione preziosa per la preparazione di questi ministri del vangelo e della carità, e quasi sempre li si è collocati in corsi teologici “di serie B”, più che nella riscoperta di un annuncio evangelico che porta ciascuno a comunicare la sua esperienza di fede. Sarebbe bastato ricordare quanto Paolo di Tarso collochi al cuore della sua testimonianza la sua stessa vicenda di salvezza e il suo incontro con Gesù lungo la strada di Damasco. La chiamata al ministero di uomini adulti, quasi sempre sposati e padri di famiglia, avrebbe avuto gran vantaggio nel proporre non un catechismo mediocremente accademico, ma piuttosto la vivacità di un’esperienza di fede che accetta di diventare “diaconìa” per comunicare il dono del Signore nel concreto tessuto della vita in cui si trovano le persone. La fede infatti non è una dottrina e non è un codice etico, ma è un’esperienza. E’ l’esperienza del dono di Dio! Nella liturgia di questa “Domenica dei Settandue” tutto questo è accentuato dalla Parola dell’Apostolo che scrivendo ai cristiani della Galazia pone al cuore del suo ministero la sua personale relazione con il Signore, relazione così profonda da fare di lui una persona che porta nel corpo le stigmate di Gesù. Non stigmate della carne, ma la sua stessa persona invasa e guidata dalla Pasqua del Signore. Questo ritrovato intreccio tra la Parola e la storia porta il Signore a parlare nel testo evangelico di Luca anche delle case dove la gente vive. Un vangelo che entra nelle case e che, secondo la memoria degli Atti degli Apostoli, fa delle case il luogo dove “si spezza con gioia il pane”. Queste preziose memorie del passato sono in realtà l’annuncio delle cose future. Non dobbiamo averne paura, né considerare queste eventualità come segni di decadenza. All’opposto! E la piccola “parrocchia” di Santa Marta che Papa Francesco ha “inventato” in Vaticano ne è segnale luminoso. Per questo non si può ignorare che le semplici parole e i piccoli gesti del nuovo Vescovo di Roma commuovono e muovono non solo i credenti ma anche molti che ritengono di non avere la fede. Come accade tutto questo? Si tratta in realtà di una riscoperta semplice e profonda del rapporto tra la Parola di Dio e la storia. Dio non ha mai parlato “fuori” dalla storia, e la Parola del Signore sempre si manifesta e si colloca dentro al tessuto concreto della vicenda umana. E quindi sempre, necessariamente, la Parola “negozia” con la storia. Il comandamento divino di “non rubare” si rivolge oggi a condizioni del tutto diverse da quelle di duecento anni fa, e ha diverse conseguenze nella pianura padana e nella foresta africana o nella città di Pechino. Mentre scrivo, ancora deve compiersi il piccolo viaggio di Papa Francesco a Lampedusa. Quando qualcuno leggerà su Jesus queste righe , sarà cosa passata. Ma il semplice annuncio di questo viaggetto è già straordinario. Gettare fiori in acqua sui poveretti sepolti nel Mediterraneo è annuncio fortissimo, che necessariamente interpella tutti noi. Abbiamo il gioioso dovere di pensare che ci troviamo all’inizio di una nuova straordinaria vicenda evangelica.