1 «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3 Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4 Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5 Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6 Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
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L’immagine della vite e dei tralci alla quale ci porta Gv.15 è propria del solo Giovanni, anche se la vigna è figura presente anche nelle Scritture della Prima Alleanza e negli altri Vangeli. In Giovanni descrive la vita del credente nella sua comunione con Gesù. Di Sé Egli esplicitamente dice: “Io sono la vite vera”(ver.1). L’attributo “vera” non vuole contrapporsi a “falsa”, ma esprime soprattutto la “pienezza” di un’immagine presente nelle Scritture che ora appunto si rivela nella pienezza del suo significato e della sua potenza. Il Padre in questa immagine è indicato come l’agricoltore, che è nello stesso tempo il proprietario e il gestore della vigna. Il ver.5 esplicita l’immagine indicando i discepoli di Gesù come “i tralci” della vite, e descrive la relazione, il rapporto vitale assolutamente necessario tra i tralci e la vite. Qui compare il verbo “rimanere” che è il cuore dell’intera immagine: “Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto”. La vita cristiana è sostanzialmente comunione con Gesù. E lo è in modo assoluto: “perchè senza di me non potete fare nulla”. Questo “nulla” non è l’annuncio di un difetto, ma è la proclamazione della comunione meravigliosa che in Gesù Dio ha stabilito con l’umanità. In quel “rimanere” in Lui c’è tutta la vita nuova e buona. Io preferisco tenermi lontano dalle affermazioni delle note del testo che tendono a descrivere il “rimanere” come la fonte di un “dovere”: preferisco ironicamente e lietamente pensare che in quel rimanere c’è tutto il “piacere” di una vita nuova e buona condotta dal Signore.
Se il tralcio rimane nella vite, porta frutto: “Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me”(ver.4). Quindi, “chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto”. In questo si raccoglie il giudizio divino sulla nostra vita: “l’agricoltore – ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto”(ver.2). E’ interessante quel verbo “potare” che essenzialmente significa “purificare”, e che introduce al “voi siete già puri” del ver.3, dove si afferma che l’energia, la linfa vitale della comunione con Gesù è la sua Parola: “Voi siete già puri a causa della Parola che vi ho annunciato. Il primo “rimanere” è rimanere nella Parola del Signore! Senza la comunione con la Parola, con il Vangelo di Gesù, non si può appunto fare nulla. E da qui il giudizio: “Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca…”(ver.6)
A me sembra che questa sia l’immagine più bella e più luminosa per dire come la salvezza è grazia, è dono, e come tutta l’opera della salvezza si raccolga nella comunione tra noi e Gesù.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
L’agricoltore, il Padre, è lui che pensa a eliminare tralci infruttuosi: non sta a noi giudicare ed eliminare. Così pure il potare, o meglio il purificare o ripulire: è compito che il Padre riserva a sè; non siamo noi a doverci impegnare per eliminare limiti e difetti vari. E’ finita – dice Alberto Maggi – l’epoca degli esami di coscienza e lo star lì, concentrati su se stessi per volerci perfezionare. Ma allora, noi non dobbiamo fare nulla? Rimanere, dimorare nel Signore e seguirlo nel servizio: il servizio ai fratelli aiuterà loro e purificherà noi.