10 Spadroneggiamo sul giusto, che è povero, non risparmiamo le vedove, né abbiamo rispetto per la canizie di un vecchio attempato. 11 La nostra forza sia legge della giustizia, perché la debolezza risulta inutile. 12 Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo e si oppone alle nostre azioni; ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta. 13 Proclama di possedere la conoscenza di Dio e chiama se stesso figlio del Signore. 14 È diventato per noi una condanna dei nostri pensieri; ci è insopportabile solo al vederlo, 15 perché la sua vita non è come quella degli altri, e del tutto diverse sono le sue strade. 16 Siamo stati considerati da lui moneta falsa, e si tiene lontano dalle nostre vie come da cose impure. Proclama beata la sorte finale dei giusti e si vanta di avere Dio per padre.
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E’ di grande potenza letteraria, ma anche psicologica, il brusco passaggio da considerazioni di carattere generale all’ “identificazione” di un “uno” che ci si può domandare se sia uno che veramente, lui personalmente, si pone come nemico e oppositore, o è figura simbolica, rappresentativa della parte avversa. Penso che si possano tenere insieme le due ipotesi, perché accade che quasi sempre si arrivi ad identificare in una singola persona o in un particolare evento la convergenza e la presenza della forza nemica.
Per noi c’è anche e soprattutto l’inevitabile e potente richiamo alla Persona del Signore Gesù e alla potenza drammatica della sua Passione. Tale “nemico” è il “giusto”!
Egli viene ampiamente descritto come figura “collettiva” (ver.10): è “povero”! Dunque, “non risparmiamo le vedove, né abbiamo rispetto per la canizie di un vecchio attempato”: in quel “giusto” e “povero” sono presenti le vedove e i vecchi!
Con chiarezza spregiudicata si afferma allora: “la nostra forza sia legge della giustizia, perché la debolezza risulta inutile” (ver.11). Ma a questo punto il “giusto” non si presenta più solo come un “povero”, e diventa scomodo e oppositore, e “ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta”.
E questo “giusto povero” si manifesta sempre più potente: “Proclama di possedere la conoscenza di Dio e chiama se stesso figlio del Signore”!!
Dunque, secondo il ver.14, egli è diventato esplicitamente “una condanna dei nostri pensieri; ci è insopportabile solo al vederlo”. Infatti, “la sua vita non è come quella degli altri, e del tutto diverse sono le sue strade” (ver.15). La sua stessa persona diventa giudizio severo per gli empi: “Siamo stati considerati da lui moneta falsa, e si tiene lontano dalle nostre vie come da cose impure” (ver.16). Dunque il giusto è diventato la figura radicalmente opposta agli empi, fino ad esserne il giudizio finale: “Proclama beata la sorte finale dei giusti e si vanta di avere Dio come padre”. E’ bello custodire queste parole per coglierle del tutto vive e presenti nella persona di Gesù!
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Quello che il commento di Giovanni riferisce alla persona di Gesù si può estendere – credo – a tutti noi. E’ bello che siano proprio gli “empi” a indicare ciò che è tipico, è l’essenza del credente: “possedere la conoscenza di Dio” ed essere e chiamarsi “figlio del Signore”. Sappiamo che “conoscenza” significa esperienza, contatto intimo. Quanto all’essere figli, l’affermazione è ribadita al v.16: il giusto ha “Dio per padre”. Non si tratta di una adozione giuridica, formale, ma di una realtà, una scelta di Dio. L’esito ultimo non può essere che felice: è “beata la sorte finale dei giusti”.