16 Ma gli empi invocano su di sé la morte con le opere e con le parole; ritenendola amica, si struggono per lei e con essa stringono un patto, perché sono degni di appartenerle. 1 Dicono fra loro sragionando: «La nostra vita è breve e triste; non c’è rimedio quando l’uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dal regno dei morti. 2 Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati: è un fumo il soffio delle nostre narici, il pensiero è una scintilla nel palpito del nostro cuore, 3 spenta la quale, il corpo diventerà cenere e lo spirito svanirà come aria sottile. 4 Il nostro nome cadrà, con il tempo, nell’oblio e nessuno ricorderà le nostre opere. La nostra vita passerà come traccia di nuvola, si dissolverà come nebbia messa in fuga dai raggi del sole e abbattuta dal suo calore. 5 Passaggio di un’ombra è infatti la nostra esistenza e non c’è ritorno quando viene la nostra fine, poiché il sigillo è posto e nessuno torna indietro. 6 Venite dunque e godiamo dei beni presenti, gustiamo delle creature come nel tempo della giovinezza! 7 Saziamoci di vino pregiato e di profumi, non ci sfugga alcun fiore di primavera, 8 coroniamoci di boccioli di rosa prima che avvizziscano; 9 nessuno di noi sia escluso dalle nostre dissolutezze. Lasciamo dappertutto i segni del nostro piacere, perché questo ci spetta, questa è la nostra parte.
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Gli “empi” sono il soggetto, i “protagonisti” del nostro brano. Mi sembra che, prima di essere trasgressori della Legge divina e persino malfattori violenti, gli empi debbano essere considerati come fuori dalla verità, deviati, e in certo senso persino rassegnati alla loro triste concezione della vita.
Triste perché interamente dominata dalla morte. La loro stessa vita dissoluta e violenta è la conseguenza e l’inevitabile esito del loro pensiero. Tale pensiero è espresso, con un esordio severo (“dicono tra loro sragionando”) nei vers.1-5 in termini non solo tristi, ma addirittura drammatici, e in certo modo consapevoli della tristezza del loro pensiero: “La nostra vita è breve e triste; non c’è rimedio quando l’uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dal regno dei morti” (ver.1).
Questo ci consente di considerare correttamente la drammaticità del ver.1,16, che descrive un’alleanza totale tra loro e la morte! E drammaticamente e inevitabilmente conseguenti sono le affermazione dei versetti successivi! Tutto è prigioniero del dominio assoluto della morte! “Non c’è ritorno quando viene la nostra fine”!! (ver.5).
Dunque: “Venite e gustiamo dei beni presenti, gustiamo delle creature ….” E così, ancora conseguentemente, fino al ver.9. Mi sembra di cogliere una nota di drammatica tristezza in tutto questo pensiero, fino alla triste conclusione del ver.9: “Lasciamo dappertutto i segni del nostro piacere, perché questo ci spetta, questa è la nostra parte”.
Mi permetto di dire che non riesco a condividere sentimenti e parole di sdegno contro questi “empi” da parte di chi si considera “fedele”. Credo che il sentimento del Signore verso di loro sia infine sempre la compassione. E la sua reazione, sempre la misericordia.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Senza essere “empi”, anche noi forse abbiamo avuto pensieri come quelli qui descritti: “La nostra vita è breve e triste; non c’è rimedio quando l’uomo muore… Siamo nati per caso… Nessuno ricorderà le nostre opere…” E’ una visione pessimistica, è vero, ma ha il suo fondamento nella realtà. Solo la nostra fede in Gesù e nella parola di Dio ci strappano a questo tipo di pensieri e sono capaci di trasformare la nostra esistenza in qualcosa di gioioso, qualcosa da spendere per il bene, il benessere degli altri. Ciò cui dobbiamo stare attenti è la possibilità della “seconda morte”, così chiamata nell’Apocalisse: se non accogliamo la Parola, se ci rinserriamo nel nostro egoismo…, noi stessi decretiamo la nostra fine definitiva.