1 Ma tu, nostro Dio, sei buono e veritiero, sei paziente e tutto governi secondo misericordia. 2 Anche se pecchiamo, siamo tuoi, perché conosciamo la tua potenza; ma non peccheremo più, perché sappiamo di appartenerti. 3 Conoscerti, infatti, è giustizia perfetta, conoscere la tua potenza è radice d’immortalità. 4 Non ci indusse in errore né l’invenzione umana di un’arte perversa, né il lavoro infruttuoso di coloro che disegnano ombre, immagini imbrattate di vari colori, 5 la cui vista negli stolti provoca il desiderio, l’anelito per una forma inanimata di un’immagine morta. 6 Amanti di cose cattive e degni di simili speranze sono coloro che fanno, desiderano e venerano gli idoli. 7 Un vasaio, impastando con fatica la terra molle, plasma per il nostro uso ogni vaso. Ma con il medesimo fango modella i vasi che servono per usi nobili e quelli per usi contrari, tutti allo stesso modo; quale debba essere l’uso di ognuno di essi lo giudica colui che lavora l’argilla. 8 Quindi, mal impiegando la fatica, con il medesimo fango plasma un dio vano, egli che, nato da poco dalla terra, tra poco ritornerà alla terra da cui fu tratto, quando gli sarà richiesta l’anima, avuta in prestito. 9 Tuttavia egli si preoccupa non perché sta per morire o perché ha una vita breve, ma di gareggiare con gli orafi e con gli argentieri, di imitare coloro che fondono il bronzo, e ritiene un vanto plasmare cose false. 10 Cenere è il suo cuore, la sua speranza più vile della terra, la sua vita più spregevole del fango, 11 perché disconosce colui che lo ha plasmato, colui che gli inspirò un’anima attiva e gli infuse uno spirito vitale. 12 Ma egli considera la nostra vita come un gioco da bambini, l’esistenza un mercato lucroso. Egli dice che da tutto, anche dal male, si deve trarre profitto. 13 Costui infatti sa di peccare più di tutti, fabbricando con materia terrestre fragili vasi e statue.
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Sono molto interessanti i vers.1-3 perché evidenziano la nostra reale condizione di peccatori, e tuttavia ribadiscono la bontà della nostra vita: “Anche se pecchiamo, siamo tuoi”. Per questo, si deve considerare non un’umiliazione, ma un atteggiamento e un comportamento di umiltà la nostra volontà: “… ma non peccheremo più, perché sappiamo di appartenerti”. Questo è veramente il frutto prezioso della misericordia divina!
Non dobbiamo stancarci di chiedere perdono, nella certezza che Dio non si stanca mai di perdonarci! Sono parole di Papa Francesco. Resta infatti tutta la nobile bellezza della nostra vita: “Conoscerti, infatti, è giustizia perfetta, conoscere la tua potenza è radice d’immortalità” (ver.3). Pur continuando ad essere facile preda del peccato, non gli apparteniamo: questo è il senso dei versetti successivi: quello che così facilmente ci vince non è il volto vero della nostra vita, e non lo condividiamo: “Non ci indusse in errore né l’invenzione …” (vers.4-13).
Tutto quello che in questi versetti viene denunciato, noi purtroppo lo conosciamo bene, ma osiamo dire che non gli apparteniamo. Il grande dono della nostra vita è quello che ci fa vivere i nostri peccati come una contraddizione, mentre quello che il nostro testo afferma è purtroppo descrittivo di un convincimento profondo e drammaticamente elevato a concezione della vita stessa.
Per questo, pur essendo questa parola molto severa, sembra portare in sé anche una nota di amarezza e di compassione. Questo mi sembra evidente soprattutto nei vers.10-13, che paionoi descrivere non tanto delle azioni sbagliate, quanto appunto una concezione errata della vita.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Nella bellissima preghiera noto, in primo luogo, le qualità attribuite a Dio: è “buono e veritiero”, è paziente e governa “secondo misericordia”. Di noi si sottolinea che “siamo suoi”, gli apparteniamo. Egli ci tratterà in conseguenza. Noi stessi trattiamo con cura, con attenzione, con amore le cose che ci appartengono e che ci sono care. L’appartenenza al Signore, unita alla sua “conoscenza” (che vuol dire relazione, comunione…), ci garantisce “perfetta giustizia” ed è pegno di immortalità. – Vedo anche, nel v.11, una sorta di descrizione dell’opera di Dio che crea l’uomo: Egli è “colui che lo ha plasmato, colui che gli inspirò un’anima attiva e gli infuse uno spirito vitale”.