1 Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion. 2 Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre, 3 perché là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, allegre canzoni, i nostri oppressori: «Cantateci canti di Sion!». 4 Come cantare i canti del Signore in terra straniera? 5 Se mi dimentico di te, Gerusalemme, si dimentichi di me la mia destra; 6 mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo, se non innalzo Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia. 7 Ricòrdati, Signore, dei figli di Edom, che, nel giorno di Gerusalemme, dicevano: «Spogliatela, spogliatela fino alle sue fondamenta!». 8 Figlia di Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà quanto ci hai fatto. 9 Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sfracellerà contro la pietra.
Salmo 137(136)

In questo Salmo è particolarmente preziosa l’attenzione di coniugare una situazione drammatica come quella dell’esilio in terra straniera (ver.4) con quell’”esilio dello spirito” che è purificazione e purezza della fede: provo a spiegarmi ricordando con voi che la fede non è mai un possesso, ma è sempre un dono, e che il dono intreccia in sé profondamente la profondità del dono stesso e la percezione profonda di un’attesa e quindi in certo senso di un esilio rispetto alla vera patria verso la quale la fede stessa ci conduce. Spero di non avervi provocato troppa confusione con i miei confusi pensieri!
Vorrei sperare dunque che l’esilio a Babilonia fosse anche un po’ il nostro “esilio” dalla Casa del Padre. Quando la fede pretende di essere pienezza e perfezione di un cammino già compiuto è esposta a mondanizzarsi e a confondersi con poteri mondani.
Detto questo, accogliamo con semplicità questo bellissimo canto degli esiliati e dei deportati . sarà proprio in questo esilio e in questa lontananza che la fede di Israele si purificherà e si approfondirà: nella “terra straniera” non c’è il tempio, né il sacerdozio, né il sacrificio di animali. Ma proprio questa “povertà” promuove una fede “interiore”: non posso offrire le vittime dei sacrifici, ma questo mi porta ad offrire il dolore della lontananza e dell’esilio, e infine ad offrire me stesso! Oggi può esserci di grande aiuto uno sguardo al Salmo 39(40),7-9 che coglie e annuncia lo sbocco luminoso della povertà patita nell’esilio trovando la prospettiva e l’annuncio di un sacrificio ben più profondo che ha in Gesù la sua pienezza e a sua fecondità!
La grandezza e la fecondità di questo esilio si collega all’antica schiavitù egiziana che è l’origine della storia della salvezza. Da lontano siamo chiamati a porre “Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia”. Questa “gioia da lontano” è la gioia della fede.
I vers.8-9 guardano alla pienezza di tale liberazione e alla “vendetta” contro il “Nemico” che tiene prigioniero. Tale “Nemico” si rivelerà sempre più come il nemico che è il male e la morte! La “vendetta” contro il male e la morte, e cioè “la morte della morte” sarà il sacrificio d’amore del Figlio di Dio che si farà “piccolo” fino alla Croce e che con la sua morte vincerà la morte.
S.Agostino coraggiosamente commenta questi versetti vedendo in questi “piccoli” l’amara e oscura realtà dei nostri pensieri e sentimenti e gesti di morte, che devono essere “sfracellati” contro la “pietra” che è Gesù stesso, quella “pietra” che i costruttori hanno scartato e che è diventata “pietra d’angolo” del tempio nuovo che è la convocazione e la salvezza di tutti i popoli della terra (Salmo 117(118),22) , chiamati alla salvezza e alla vita nuova in Gesù. La “vendetta” divina contro il male e la morte è il sacrificio d’amore di Gesù per la salvezza universale: “Contempleranno Colui che hanno trafitto” (Gv.19,37 che cita Zaccaria 12,10).
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Questo lamento degli esiliati colpisce per la sua bellezza drammatica e perfino per la sua forza poetica. Si ricordano le lacrime, le cetre e la voce degli oppressori che chiedevano “parole di canto, … allegre canzoni”; si ricorda la patria lontana, la Gerusalemme abbandonata… Sono trascorsi duemila e cinquecento anni e da allora quanti milioni di persone sono state esiliate, deportate, umiliate; quanti oggi stesso potrebbero ripetere le parole del salmo come proprie… – Il mio pensiero va all’esiliato Gesù: estromesso “fuori le mura”, fuori dalla sua città, gli è stata tolta la vita stessa. Là ha pronunciato le parole dell’abbandono – “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato” – mentre le sue parole di “vendetta” sono state: “Padre, perdona loro… Non sanno quello che fanno”.