4 A chi lavora, il salario non viene calcolato come dono, ma come debito; 5 a chi invece non lavora, ma crede in Colui che giustifica l’empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia. 6 Così anche Davide proclama beato l’uomo a cui Dio accredita la giustizia indipendentemente dalle opere:
7 Beati quelli le cui iniquità sono state perdonate
e i peccati sono stati ricoperti;
8 beato l’uomo al quale il Signore non mette in conto il peccato!

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L’uso del verbo “lavorare” ai vers.4-5 rende più immediata la lettura del testo e il rapporto tra lavoro e salario. Tuttavia per noi è importante tener presente che il verbo è sempre quello legato all’ “opera”: “operare”. Il salario è cosa dovuta. E’ un “debito” che in certo senso il datore di lavoro contrae con il lavoratore. Il salario quindi non può “venir calcolato come dono”(ver.4).
Il secondo termine del paragone – “a chi invece non lavora” – dilata l’immagine introducendo, accanto al “non lavora”, la figura dell’empio che viene giustificato! E questa è la suprema “gratuità” di Dio. Pensate come anche noi, istintivamente, siamo portati a chiederci se colui cui facciamo un’elemosina se la merita! Ma qui l’elemosina è la “giustificazione” dell’empio, quindi di uno che certamente non può meritare il dono che riceve. E l’empio viene giustificato perché “la sua fede gli viene accreditata come giustizia”. Teniamo ben ferma la portata dell’avvenimento! La Fede che Dio gli regala gli viene “accreditata come giustizia”.
Tutto questo, secondo l’Apostolo, non deve essere considerato una assoluta novità, ma come già presente nell’economia veterotestamentaria, come si può cogliere nel Salmo 31(32). E certamente di questa citazione impressiona la “beatitudine” che afferma l’assoluta gratuità della salvezza e del perdono che Dio dona a noi peccatori. Vi consiglio di ascoltare per intero questa bellissima preghiera.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.