Don Giovanni Nicolini per “Il Resto del Carlino”
L’ho visto per la prima volta nei locali della vecchia Curia di Bologna, al piano terra. Mi avevano detto di cercarlo lì. Ritornavo da una raccolta di Emmaus, con l’abbigliamento adeguato all’operazione. Lui si è alzato con premura dal suo tavolo e con voce gentile mi ha detto che forse per i lavori da fare dovevo andare da un’altra parte. Gli ho detto chi ero, e subito mi ha preso per mano dicendosi contento che io avessi risposto al suo invito di incontrarci. Quel giorno ho trovato un padre. Marco Cè è arrivato a Bologna come Vescovo Ausiliare del Cardinal Poma in un momento affascinante e delicato: il Concilio terminato e dunque un clima oscillante tra esuberanza e resistenze. L’Episcopato di Lercaro messo a riposo dopo la grande ondata conciliare e il ruolo protagonista e quasi prepotente, almeno per molti, della Chiesa bolognese nella grande Assemblea mondiale radunata a Roma per anni. Marco Cè del clero lombardo cremasco, studioso attento e appassionato delle Sante Scritture, formatore di giovani nel seminario della sua Diocesi. Con lui è iniziata a Bologna una sinfonia d’incontri e di pensieri che la sua regia spirituale ha aperto a tutti con una larga possibilità a che ognuno si esprimesse secondo i suoi doni e la sua speranza. Poche settimane dopo è arrivato di sorpresa a cena nella casa dove abitavo in mezzo alla corrente del Navile, su una specie di piccola isola collegata al resto del mondo da un ponticello di ferro. Ha chiesto se lo invitavamo a cena: io, Santino diacono e i nostri fratelli e compagni di casa. Mentre si sedeva a tavola non ha potuto trattenere un sorriso davanti ad una gigantografia di Mao accanto all’ikona del Signore. Quella sera ho avuto la netta sensazione che lì ci sarei stato per poco tempo. Ero diacono a Corticella, ma molte volte ero autista del Vescovo Ausiliare in giro per la Diocesi. E così ho conosciuto l’obbedienza ecclesiale come l’essere presi per mano da un padre che ti conduce nella storia con la guida del Vangelo. Perché il Vescovo Marco è stato proprio uomo del Vangelo: fedele, appassionato e appassionante per come sempre sapeva cogliere e indicare il piegarsi di Gesù sulla nostra umile storia, per sanarla e illuminarla. Preso per mano da lui sono diventato prete, dopo un anno e mezzo di “rimessa in riga” al servizio della Parrocchia di Persiceto. Il passaggio per me più prezioso è stato quello della sua affettuosa e devota amicizia con Giuseppe Dossetti, il loro continuo dialogo profondo sul Signore della storia e sul volto e sul cammino della Chiesa. Per me, il regalo immenso del Concilio portato nella nostra Chiesa con un carico straordinario di speranza. Quando all’improvviso Marco Cè è stato chiamato a Roma per assumere la guida dell’Azione Cattolica Italiana, don Giuseppe era in Terra Santa. Con una lunga telefonata da Gerusalemme mi ha ordinato di esprimere al Vescovo tutto il suo disappunto e il suo dispiacere. Sono andato da Cè con più paura che all’orale di greco alla maturità. Ma lui si è semplicemente commosso, e ha voluto che subito telefonassimo a Gerusalemme, e voleva che io ascoltassi non solo le sue parole, ma anche quello che l’altro gli diceva: quanto bene mi hanno fatto. Negli anni successivi ha fatto visita alle chiese di tutta Italia, e con un messaggio preciso che traeva dall’insegnamento di Paolo VI per una Chiesa viva dove tutti sono chiamati a servire. Poi Venezia. Siamo andati anche noi a riceverlo in laguna, e poi in S. Marco. E da allora tanti incontri e regali, fino ad una Casa della Diocesi sul Canale della Giudecca dove le mie sorelle hanno fatto vita comune con ragazze in difficoltà. Negli anni successivi ho conosciuto confratelli preti di Venezia, talvolta venuti da noi per qualche difficoltà e fatica della vita. E sempre con la protezione affettuosa del loro Patriarca, che era per loro il grande confidente e il grande consolatore delle loro fatiche. E ancora si affollano in questi giorni le memorie. Tutte per dire come la fede e la carità di un solo uomo possa portare la pace e il sorriso nel cuore di molti.
Da leggere anche il bell’articolo di Massimo Cacciari su “La Repubblica” del 15 Maggio 2014.