35 Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. 36 Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. 37 Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! 38 Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».
1 Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
2 I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello; 3 Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; 4 Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì.
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Ci troviamo oggi davanti ad un passaggio molto importante nella memoria evangelica secondo Matteo. Porrei al centro della nostra attenzione il ver. 36: “Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore”. Se ci domandiamo come Dio vede l’umanità, non possiamo trovare espressione più forte di questa nella Parola di Dio. Il Signore, “vedendo le folle, ne sentì compassione”. Il verbo reso in italiano con “sentì compassione” è verbo fortissimo! Si tratta di un sentimento divino che lo coinvolge interamente, persino “fisicamente”, fino alle sue viscere. E’ un verbo che accompagna tutta la Parola di Dio. Egli ha tanti diversi e opposti sentimenti verso il suo Popolo, ma il sentimento dominante, quello che alla fine sempre in Lui prevale, è appunto quello della compassione. Di una compassione interamente da Lui partecipata. E’ il verbo forte della sua misericordia, e alla fine è quello più potente a descrivere il suo amore, talmente forte da trascinarlo verso e dentro la storia del suo Popolo. In queste ultime righe ho parlato di Popolo. All’inizio parlavo dell’intera umanità. Voi sapete che questo avviene quando Gesù, come abbiamo visto al cap. 8, si lascia coinvolgere dalla vicenda di un ufficiale pagano (vers. 5-11) e libera gli indemoniati nella terra dei pagani gadareni (vers. 28-34). Dunque, è la divina compassione di Gesù per l’umanità il segreto e il cuore della storia dell’umanità!
Gesù è afferrato da una duplice “sproporzione”: la prima è descritta con l’immagine delle “pecore che non hanno pastore”, e per questo sono “stanche e sfinite” (ver. 36). Se avete tempo seguite l’indicazione delle note che portano ad un episodio di 1Re 22. Tuttavia è evidente che questa situazione non è episodica, ma avvolge l’intera esistenza di tutta l’umanità. La seconda “sproporzione” mette in evidenza il contrasto tra una “messe abbondante” e la scarsità di operai (vers. 37-38). E’ molto importante che sia il dato “negativo”, e cioè la condizione delle pecore, sia quello “positivo”, e cioè la quantità esorbitante della messe, rivelino prima di tutto l’amore di Dio per questa gente malmessa, che Egli ci ha fatto incontrare e che Lui stesso ha raccolto intorno a Sé nei due precedenti capitoli; tutto esprime l’amore infinito di Dio per l’umanità, e il suo fermo proposito a che nulla e nessuno vada perduto. Il termine “compassione” dice la volontà divina di rendersi partecipe della “passione” dell’umanità. Ed è termine parallelo ad una parola italiana di origine greca, come l’altra proviene dalla lingua latina: è la parola “simpatìa”, che non è solo un sentimento positivo, ma anche qui è la volontà di “com-patire” da parte di Dio nella vicenda ferita dell’umanità intera. E’ la sua assoluta volontà a che tutti siano salvati.
Mi sembra quindi di grande rilievo che i primi che vengono chiamati da Lui per questa straordinaria impresa non ricevano un compito di “giudizio”, ma appunto la potenza di liberare l’uomo sia dalle infermità spirituali (scacciare gli spiriti impuri), sia da quelle che dicono il potere inevitabile della morte (guarire ogni malattia e ogni infermità).
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Gesù va dappertutto, in ogni città e villaggio, senza lasciare neanche un posto non visitato dalla sua presenza. E’ l’immagine del buon pastore che va in cerca di ogni sua pecora perduta.
Il brano di oggi poi ci propone in sintesi le tre grandi opere di Gesù: l’insegnamento nelle sinagoghe, la predicazione del vangelo del regno di Dio, e la cura delle malattie e infermità della gente.
Avevamo già visto al cap. 8 come Gesù sia venuto per adempiere la profezia di Isaia 53 “egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori “. Gesù compie questa profezia, e poi nei vv. successivi manda i suoi discepoli a fare altrettanto. Con un cuore simile al suo pieno di compassione (v. 36).
Ci siamo chiesti come mai il v. 36 “Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” venga solo dopo il v. 35 che dice le opere di Gesù per insegnare e guarire la gente. Forse che non aveva già dovuto “vedere” le folle per poter insegnare, predicare e guarirle? Forse il vangelo vuole dirci che anche Gesù, Figlio di Dio, ha dovuto/voluto fermarsi un momento nella sua attività, per “vedere le folle”, e per guardarle con compassione, con “viscere di misericordia”, e conoscere bene la loro fatica e oppressione, il loro abbattimento e la loro disperazione. Questa “sosta” di Gesù, questo sguardo di compassione, questa consapevolezza che “la messe è molta” diventano l’occasione per chiamare di nuovo a sé i discepoli e inviarli alle folle, dopo averli fatti partecipi del suo stesso potere di compassione. E ieri il Vangelo ci diceva come Gesù allarga poi il numero dei suoi inviati, ne mandò altri settanta due: e poi ne manda ancora e ancora.
Il brano dell’apocalisse che parla di due raccolti: della terra e della vigna, e dell’angelo mandato a mietere con la falce, ci dicono come questa immagine della mietitura che oggi Gesù usa vuole significare la pienezza dei tempi che è venuta con la presenza di Gesù. E’ dunque urgente la predicazione del Regno dei cieli e dell’invio di messaggeri in tutto il mondo.
Del torchio dell’apocalisse viene detto che è posto “fuori dalla città”, e questo ci porta a fare memoria della Passione del Signore “fuori della città”. Le parole di Gesù “la messe è molta” possono dunque essere collegate al mistero della mietitura che Lui stesso ha fatto nel suo sacrificio pasquale “fuori della città” e che ogni volta che celebriamo la Messa e ripetiamo sul pane e sul vino le parole della sua offerta continua ad essere efficace per le moltitudini, stanche e disperse, che dal sacrificio di Gesù celebrato nella Messa, vengono raccolte.
Perché la messe è molta e il modo per raccoglierla è solo uno: la offerta pura di Gesù in croce.
E se è così, anche la preghiera perché ci siano molti operai si può unire a questo: Dio Padre manderà molti operai a partire da quel sacrificio. E’ questo il modo in cui noi possiamo pregare Dio affinché la messe sia raccolta bene.
Qui Gesù pone e invia prima della sua passione i Dodici, ma sempre la Chiesa è generata dal sacrificio di Gesù.