5 Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; 6 rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. 7 Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. 8 Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. 9 Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, 10 né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento. 11 In qualunque città o villaggio entriate, domandate chi là sia degno e rimanetevi finché non sarete partiti. 12 Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. 13 Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi. 14 Se qualcuno poi non vi accoglie e non dà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dei vostri piedi. 15 In verità io vi dico: nel giorno del giudizio la terra di Sòdoma e Gomorra sarà trattata meno duramente di quella città.
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(1^ parte)
Provo a fare qualche sottolineatura alle molte cose che oggi il Signore ci regala. I vers.5-6 pongono con chiarezza l’esigenza di portare l’annuncio evangelico innanzi tutto a Israele, al popolo della Prima Alleanza. Le note delle bibbie danno in genere le spiegazioni “storiche” di questa indicazione. Io mi chiedo se non possiamo chiedere una luce che mostri la perfetta attualità di questa Parola anche oggi, per noi che ci troviamo in condizioni storiche mutate. Ebbene, penso che l’esperienza della fede ci mostri con chiarezza che a testimoniare la vita nuova in Gesù è sempre un popolo, una realtà comunitaria. E dunque credo che anche oggi dobbiamo avvertire il primato e l’urgenza di un annuncio alla comunità cui il Vangelo è stato affidato, per poi certo dilatare questo annuncio fino ai confini della terra e ad ogni cuore.
L’annuncio del “regno dei cieli” che abbiamo ricevuto all’inizio, in Matteo 3, da Giovanni Battista, l’ultimo profeta di Israele, ora si fa presente in Gesù stesso e in coloro che Egli manda. A proposito di questi “mandati”, nel nostro brano li si identifica con “i Dodici”, e quindi con gli Apostoli, che peraltro al ver.1 aveva chiamato “discepoli”, e ai quali vengono date indicazioni e norme che non sembrano caratteristiche ed esclusive degli Apostoli stessi, ma vere e buone per ogni cristiano chiamato a dare testimonianza e ad annunciare il Vangelo nell’ambito della sua vita. Ognuno a suo modo, oggi come ieri: credo cioè siano parole che Gesù rivolge a ognuno di noi e a tutti noi, oggi.
Mentre il Battista accompagnava l’annuncio del Regno con il comando della conversione, di cui allora abbiamo parlato, qui sembra che piuttosto l’annuncio debba essere accompagnato e confermato dai “segni” di tale Regno. Al ver.8 Gesù dice: “Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demoni”. Il Regno viene avanti dunque primariamente con i grandi doni della vita nuova in Gesù e dietro a Lui. E questa primaria essenziale dimensione del dono deve accompagnare e caratterizzare anche la vita e l’agire dei testimoni: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Guai ad aggredire il mistero di Dio lasciando entrare anche piccolissimi segni che indurrebbero a pensare che tale supremo dono si possa acquistare o meritare. La gratuità esterna deve essere il segno che accompagna e conferma la grazia di Dio.
(segue)
(2^ parte)
Così è molto importante l’indicazione di rigorosa povertà data ai testimoni della fede. Notiamo che tale povertà non è presentata come una particolare nota di elevazione e di distacco dello spirito, ma piuttosto all’interno della relazione che l’annuncio evangelico stabilisce tra chi offre e chi riceve l’annuncio stesso. Quando Gesù al ver.10 dice che “chi lavora ha diritto al suo nutrimento” non stabilisce il diritto al compenso, quanto prima di tutto il fatto che la missione evangelica in certo senso mette l’annunciatore “nelle mani” di chi viene da lui visitato, in quanto il testimone si è “fatto povero” per portare e custodire in tutta la sua luce il dono di Dio.
E che non si tratti di una “retribuzione” ne sono conferma i vers.11-14 quando ci danno indicazioni concrete sulla “geografia” di questo annuncio: la casa della gente. A questo proposito mi permetto di richiamare la vostra attenzione sulla delicatezza dell’attributo “degno” ripetuto tre volte a proposito della casa, e già nominato nel nostro testo al ver.10, quando in italiano si dice che chi lavora “ha diritto al suo nutrimento (alla lettera “è degno del suo nutrimento”). Mi sembra che “degno” non indichi una situazione “per bene”, quanto una condizione consapevole del suo bisogno di salvezza e quindi in attesa del suo Salvatore. Per fare un esempio molto semplice e diretto, mi pare che la casa del Fariseo di Luca 7 dove il padrone di casa non riconosce e non accoglie il dono della presenza di Gesù, sia certamente “non degna” rispetto alla casa di Zaccheo di Luca 19, di cui peraltro tutti mormorano accusando Gesù di essere entrato nella casa di un peccatore. Altrimenti il rischio è di pensare che degna sia una casa che in realtà pensa di non aver bisogno di niente e di nessuno.
Infatti i vers.14-15 indicano come colpevolmente chiuse le case e le città che non si riconoscono bisognose dell’annuncio e da tale annuncio visitate. Il giudizio evangelico non è il giudizio sulla nostra vita di peccatori, ma sulla nostra fame e sete del Vangelo che Gesù vuole visitare e salvare.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Mi ha colpito un’osservazione che ho sentito fare a proposito dei vv.9-10: “Non procuratevi … né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone…”. In Israele vi era un solo giorno, nel corso dell’anno, in cui si celebrava e si otteneva il perdono di Dio, ed era il giorno del kippur. I partecipanti alla celebrazione nel tempio di Gerusalemme dovevano entrare appunto senza sandali, senza bastone, senza sacca… Ora invece, con Gesù, è sempre il giorno del perdono: i discepoli vanno ad annunziarlo lontano dal tempio e per ogni momento della vita. Dovunque si annunzia il Regno, si aprono gli uomini all’amore del Padre e alla sua “compassione”.
vv. 5-6 “Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: “Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’ Israele.” Questo limitare l’inizio della predicazione del vangelo alle “pecore perdute della casa d’Israele” è porre le basi dell’adempimento delle promesse di salvezza del Padre; infatti “la salvezza viene dai Giudei” (Gv 4:22).
Perché “Cristo si è fatto servitore dei circoncisi in favore della veracità di Dio, per compiere le promesse dei padri; le nazioni pagane invece glorificano Dio per la sua misericordia” (Rom 15:8-9); sulla radice santa poi, è stato possibile a Dio innestare anche rami di olivo selvatico, cioè le nazioni straniere.
v. 8 “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.” è l’immissione dell’amore di Dio nella storia degli uomini. E’ infatti l’amore di Dio che è perfettamente gratuito.
E che cosa hanno ricevuto gratuitamente i discepoli? Pietro ci aiuta a capirlo, quando esorta il paralitico ad alzarsi, dicendogli: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!”. La ricchezza dei discepoli è il nome di Gesù. La comunione con Gesù dà loro la stessa potenza e autorità. E anche la pace. Gesù infatti dà loro la “sua” pace. Ciò che anzitutto abbiamo ricevuto gratis, e che in qualche modo diventa “nostro” (“la vostra pace scenda sopra quella casa…”), e che si deve dare gratis è la pace. Anche i settantadue discepoli di cui abbiamo ascoltato domenica potevano dare la pace perché erano stati riempiti di pace da Gesù.
E c’è anche una assicurazione che questa pace che viene da Dio non va mai persa: “Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi.” (v. 13). E’ una pace che è stata donata agli uomini e non si perderà.
C’è una assoluta coincidenza tra il saluto dei discepoli e la pace, e anche tra le parole e la pace, come è anche per la parola di Dio, che ci porta e ci dona la Sua pace.
v. 9s “Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture,…”: è un comando che indica la preferenza per la povertà, come Gesù stesso: “Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.” (2Cor 8:9).
E poi “…perché l’ operaio ha diritto al suo nutrimento.” (v.10): “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.”. Questo infatti ha promesso il Signore ai suoi.