32 Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce. 33 Giunti al luogo detto Gòlgota, che significa “Luogo del cranio”, 34 gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. 35 Dopo averlo crocifisso, si divisero le suevesti, tirandole a sorte. 36 Poi, seduti, gli facevano la guardia. 37 Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: “Costui è Gesù, il re dei Giudei”. 38 Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.
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La preghiera su questa Parola mi porta oggi verso una considerazione di carattere generale che ora mi sembra entrare in forte evidenza nel mio spirito e nella mia poverissima preghiera. Ricevete questi pensieri come una semplice confidenza. Da anni, sia osservando la grande tradizione iconografica di tutti i tempi, sia ritornando ogni settimana alla memoria della Pasqua di Gesù, come provvidenzialmente ci chiede la nostra Regola, mi vado convincendo che dall’evento pasquale di Gesù tutta la creazione e tutta la storia sono convocate intorno e dentro a tale evento. Ogni anno mi è di crescente emozione la proclamazione corale e comunitaria della Passione durante la Settimana Santa. Quasi con ansia fanciullesca aspetto il momento in cui prestiamo la voce al traditore o al discepolo amato, a Pilato come al ladrone pentito. Tutto il male e tutto il bene si raccolgono nell’evento della Pasqua. Così, anche ogni giudizio non lo si può pensare se non a partire da questa universale convocazione. E’ così forte in me questo pensiero, che ormai sono abituato a considerare con attenzione anche le presenze “inconsapevoli”: un cagnolino scodinzolante o due bimbi che giocano in un angolo della scena. Però anche i campi di sterminio, anche le violenze più profonde e più segrete, anche le preghiere più appassionate…Penso che in questa direzione si dovrà fare molta strada ancora. Tuttavia, quello che essenzialmente illumina tutto, c’è già: la Messa è celebrata ancora da qualcuno, e questo illumina di Pasqua anche le zone d’ombra più pesanti.
Dopo questa premessa così pesa, resta il bellissimo “affollarsi” descritto dal nostro testo. Per tutti noi è importantissima la vicenda di questo Simone di Cirene che porta la croce di Gesù, ma non liberamente! Costretto. E porta la croce di Gesù! Tutti amiamo il collinotto brullo e cupo detto Golgota, luogo del cranio, e anche la leggendaria tradizione arabo-cristiana di quel teschio in quella piccola grotta, bagnato dal sangue che scende dalla Croce.
Le nostre apprensioni e le nostre attenzioni bioetiche ci rendono attenti a questo vino drogato che Gesù, assaggiatolo, non vuole bere. Tanti particolari ci riportano alla potenza emozionante del Salmo 21(22) e magari alle ulteriorità di Giovanni 19,23-24 circa gli abiti di Gesù. Anche il verbo reso in italiano con “gli facevano la guardia” è ricco di problematicità. Perchè finalmente la Pasqua di Gesù ha chiuso la millenaria pretesa di giudizi morali alla portata della nostra povera testa: tutto è molto più complesso e delicato.
Anche “il motivo scritto della sua condanna” al ver.37 è molto delicato. Propriamente la parola “condanna” non c’è. Si tratta della “causa scritta”. Positiva? Negativa? Tutto ormai chiede grandi passi di preghiera. Affidiamo tutto ai due ladroni crocifissi che ci aspettano per l’ultima domenica dell’anno liturgico.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
v. 34 viene offerto a Gesù del vino mescolato con fiele. Ma Gesù, assaggiatolo, non volle berlo. Perché? 1. Gesù rifiuta questa bevanda, offerta di solito ai condannati come “anestetico”, perché vuole entrare del tutto cosciente nella sua Passione. 2. Gesù doveva bere piuttosto il calice che il Padre gli ha dato. E quel calice, quel vino, è puro, non contiene niente di amaro. Infatti Gesù accetta di soffrire e morire per compiere la volontà di Dio, simboleggiata dal calice. E quella volontà, che è l’amore che unisce il Padre al Figlio, non è commista a niente di amaro o impuro.
Solo poche parole ci dicono come Gesù fu crocifisso. Si sta concludendo il suo viaggio di “impoverimento” verso la umanità e per amore degli uomini. È condotto fuori dalla città, è spogliato, è crocifisso tra due malfattori.
La sua colpa è scritta sulla croce: non c’è nessun capo d’accusa su di lui per cui possa essere condannato a morte, se non il suo essere “Re dei Giudei”. La tavola posta sulla croce dichiara anch’essa che Gesù è il Messia annunciato dai profeti.
La vicenda di Simone l’africano, costretto a portare la croce di Gesù ci suggerisce questi tre pensieri. Matteo indica per due volte nel suo vangelo, una all’inizio e poi qui, la relazione positiva di Gesù con la terra africana. Al cap. 2 Gesù bambino vi trova rifugio dalle minacce del re Erode; e qui un figlio d’Africa lo soccorre nella sua fatica finale e pasquale. Il Vangelo ha particolare simpatia e affetto per questa terra e i suoi.
Il fatto che sia “costretto” a portare la croce, forse dal comando arrogante di questi invasori-occupanti romani, dice come possa avvenire talvolta che il comando di Gesù di prendere la sua croce e seguirlo lo adempiamo “per costrizione” di altri o di eventi che avremmo magari preferito evitare per continuare a celebrare la nostra festa.
Poi questa vicenda accaduta a Simone sembra avere “generato” del bene, infatti un altro Vangelo lo ricorda come “padre di Alessandro e Rufo”. Essere posti in contatto con la croce di Gesù, e portarla – volenti o nolenti – diventa capace di generare figli santi nella comunità cristiana.