32 Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; 33 chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.
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Talvolta bisogna rassegnarsi all’impossibilità di individuare un termine che sia capace di rendere pienamente il significato di una parola del testo originale. Così è per noi riguardo al verbo “riconoscere” due volte presente nel ver. 32 che oggi riceviamo in dono per la nostra preghiera. Accanto al “riconoscere” bisognerebbe porre anche i termini “confessare”, “testimoniare”, “celebrare”. Non si tratta infatti di una dichiarazione pubblica, o di un atto eroico fino al martirio, o di una sapienza o di una nuova morale, o meglio significa tutto questo e molto di più. Il verbo nel testo originale è composto da due termini: “medesimo” e “logos, parola”. Nella lingua italiana la sua reminiscenza è presente in termini come “omologare”, “omologo”, ma queste parole hanno il limite di descrivere una situazione ancora troppo solamente esterna. Per questo mi sembra interessante il fatto che nel brano parallelo di Luca 12,1-11, subito dopo aver detto parole vicine a quelle che oggi noi ascoltiamo da Matteo, Gesù parli della bestemmia contro lo Spirito Santo. Mi sembra che questo ci aiuti a cogliere che il riconoscimento di Gesù davanti agli uomini è prima di tutto frutto dell’opera dello Spirito Santo. Si tratta dunque di un’assimilazione profonda alla Persona stessa di Gesù. E mi piace osservare come tale assimilazione si compia nell’infinita “fantasia” dello Spirito, e per questo possa compiersi in tutti, qualunque sia la personalità, la fede e la cultura di ognuno. Ecco allora che questo “riconoscere” Gesù può essere una parola fortissima come un silenzio profondo, una vita straordinaria o un cammino umilmente nascosto. Di questo abbiamo tutti una certa esperienza perché a ciascuno di noi Dio ha mandato qualcuno come segno forte di Sé. Tale è la fecondità dei santi nella storia della comunità cristiana: persone che con la loro vita lo hanno fortemente reso presente nella storia, anche in tempi e circostanze diversissimi.
All’opposto di questo sta il rinnegamento di cui dice il ver. 33. Come sapete, qui non si deve parlare solo di Giuda, ma anche di Pietro, e di tutti coloro che magari in un momento si sentono in comunione profondissima con Gesù, e il momento successivo si trovano immersi nella loro impaurita mondanità. Questo, Gesù lo sa bene. Ed è bene che anche noi siamo consapevoli di tutta la nostra fragilità, e consideriamo ogni nostra anche pallida fedeltà come frutto prezioso dello Spirito, e non opera nostra. A questo proposito mi sembra interessante che, sempre nel brano parallelo di Luca 12,1-12, Gesù avverta preliminarmente che è bene guardarsi “dal lievito dei farisei”, e cioè da ogni pretesa-presunzione circa il fatto che la comunione con Gesù sia opera nostra.
Diversamente dal parallelo di Luca 12 che collega la fedeltà-infedeltà del discepolo al giudizio finale pronunciato dagli angeli, Matteo rapporta tutto al Padre! Gesù deve poterci riconoscere come fratelli suoi, come veramente “figli” dello stesso Padre.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Tra tutti i testi del N.T. – che sono molti – in cui si trovano le parole “confessare” e “rinnegare”, ci è sembrato importante accostare al brano di oggi quello di Giov 1:20 che riporta la “confessione” di Giovanni Battista: Egli confessò e non negò, e confessò: “Io non sono il Cristo”. In generale si può pensare che la confessione e il rinnegamento del Cristo è legato al considerare se stessi some “cristo”.
Questo può ricevere una conferma dalle parole che seguono, su chi amare e odiare e sul prendere la propria croce e seguire Gesù, e dare la propria vita per il Suo nome. E anche da quelle che abbiamo ascoltato al cap. 7: Noi abbiamo fatto questo e quello nel tuo nome! Ma Gesù risponerà loro: non vi ho mai conosciuti.
Nel contesto del vangelo di Matteo, il confessare e rinnegare è collegato a quell’aspetto di fragilità di cui abbiamo ascoltato fin dall’inizio di questo cap: pecore in mezzo ai lupi, l’esempio del passero. Rimanere o uscire da questa situazione è il confessare e il rinnegare.
Per quelli, poi, che accolgono gli inviati, confessare e negare è legato a ciò che ascolteremo alla fine del cap.: dare o non dare un bicchiere d’acqua a quelli che vengono nel Suo nome.
Confessare il Signore è possibile per quello che ascoltavamo ieri, e cioè che ai discepoli viene data la forza dello Spirito Santo.
Inoltre vediamo che Pietro nella passione rinnegò il Signore, ma trovò la via del pentimento e il Signore non lo rinnegò.
Questa confessione di Gesù è “davanti agli uomini”, quindi pubblica, e richiede un mettersi in gioco per Gesù, mostrarsi, dire. Il Salmo 99 (100) delle Lodi di oggi ci fa cantare la confessione del nome e delle opere del Signore che è buono e misericordioso. La liturgia infatti, e la Messa in particolare, è luogo e modo privilegiato per “confessare davanti agli uomini” il nome di Gesù salvatore.
“Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’ io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’ io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.”: “davanti agli uomini”; “davanti al Padre”. Così Gesù ci vuole dire che il nostro rapporto con il Padre è mediato da Gesù e passa attraverso il nostro riconoscerlo come Figlio di Dio. Gesù chiama i suoi discepoli, dà loro il potere e le manda: in tutte queste cose che sono richieste di fare è importante riconoscere che tutto passa attraverso di Lui, e che attraverso di Lui giunge al Padre.