45 E subito costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, a Betsàida, finché non avesse congedato la folla. 46 Quando li ebbe congedati, andò sul monte a pregare. 47 Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra. 48 Vedendoli però affaticati nel remare, perché avevano il vento contrario, sul finire della notte egli andò verso di loro, camminando sul mare, e voleva oltrepassarli. 49 Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: «È un fantasma!», e si misero a gridare, 50 perché tutti lo avevano visto e ne erano rimasti sconvolti. Ma egli subito parlò loro e disse: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». 51 E salì sulla barca con loro e il vento cessò. E dentro di sé erano fortemente meravigliati, 52 perché non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito.

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Può esserci di qualche vantaggio riprendere un momento il testo di Marco 4,35-41 e la memoria di quella traversata del mare in tempesta. Nella Parola che oggi riceviamo dalla bontà del Signore, si accentua la “solitudine” dei discepoli nella fatica e nei pericoli della storia: la fede non è garantismo, ma è la responsabilità di una storia nuova dove si è reso presente il dono di Dio, che chiede di essere riconosciuto e accolto.
E’ Gesù stesso che costringe i suoi discepoli ad una traversata senza di Lui. Egli rimane per congedare la folla, e per andare sul monte a pregare. C’è dunque una separazione! Ed è questa separazione a dirci la fede come presenza-assenza – “la barca era in mezzo al mare, ed Egli, da solo, a terra”(ver.47) – come vita nuova con Lui, vissuta appunto nella fede, e quindi come custodia del dono di Dio e sguardo nuovo su tutto e su tutti. Nella fede il Signore è con noi e la sua presenza è collocata nei nostri cuori.
Il ver.48 ci avverte che la situazione non era di per sè di pericolo, ma semplicemente di fatica. Nella fede Gesù vuole condividere la nostra fatica, rendersi presente, partecipare: forse sta qui il significato di quel “voleva oltrepassarli” che sembra voler dire “precederli”. Ma il suo camminare sul mare li induce a pensare con spavento ad un fantasma. A qualcosa di oscuramente irreale. Gesù li incoraggia e li consola. Tutto si placa e si risolve.
Ma la loro grande meraviglia è dovuta al fatto che “non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito”(ver.52). Proviamo a domandarci il perchè di un giudizio così severo. Innanzi tutto mi sembra di poter accostare il miracolo dei pani a quella parabola del seminatore che secondo Gesù è la fonte di comprensione di ogni altra parabola come Egli ci ha detto in Marco 4,13. Qui è come se dicesse che il miracolo dei pani è la luce che illumina ogni presenza del Signore nella storia. E’ quello che ci dovrebbe portare a considerare come tutto ormai sia cambiato. Sia nuovo. Sia vissuto con Lui.
Che cosa dunque i discepoli non avevano colto nel miracolo dei pani perchè il loro cuore era indurito? Azzardo un’ipotesi. Non avevano capito che la grazia di Dio, il dono di Dio, si è reso ormai pienamente presente nella storia dell’umanità. La concretezza di quell’essere nutriti i cinquemila con quel poco pane diviso tra tutti sembra porsi come principio della realtà e dell’interpretazione della vita nuova donata da Dio e vissuta con Lui. In particolare, il camminare sul mare può evocare la traversata del mare al principio della storia della salvezza quando Israele è stato strappato dalla prigionia del male e della morte. Tutto ciò ora si compie in Gesù nella pienezza della storia nuova. Non è un fantasma! E’ la vita nuova con Lui! Può essere un invito a considerare come anche oggi il Pane spezzato sulla mensa dell’Eucaristia sia il principio della compremsione e della celebrazione di una vita tutta nuova?
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Commento 2008:
http://lectioquotidiana.blogspot.com/2008/07/mc-645-52.html