17 Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?”. 18 Gesù gli disse: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 19 Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre”. 20 Egli allora gli disse: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza”. 21 Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”. 22 Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni. 23 Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: “Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!”. 24 I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole; ma Gesù riprese: “Figlioli, com’è difficile entrare nel regno di Dio! 25 E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio”. 26 Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: “E chi mai si può salvare?”. 27 Ma Gesù, guardandoli, disse: “Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio”.
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v. 17 “Mentre usciva per mettersi in viaggio…”: l’incontro del ricco con Gesù avviene mentre Gesù sta per riprendere il cammino verso Gerusalemme. Questo uomo si rivolge a Gesù, forse con una certa ostentazione, ma non sembra parlare il falso: è segno di Israele fedele. La risposta nuova che questo uomo riceve da Gesù è: “Seguimi! Io infatti sono in viaggio”. Senza questo, tutto il resto non serve. Ricordiamo il Salmo 84 (83):6 “Beato chi trova in te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio”.
“Maestro buono!”: ma Gesù contesta: solo Dio è buono! Con questo vuole dire che anche ciò che Lui stesso ha lo riceve da Dio. Quando gli uomini vedono la bontà di Gesù, vedono in Lui la bontà stessa di Dio.
Dopo, Gesù chiedendo all’uomo di seguirlo, si pone come la pienezza della Legge, di tutti i precetti di Dio. L’amore per Lui è il compimento della Legge.
Solo Marco nota che questo uomo “viene di corsa” e “si inginocchia” davanti a Gesù. Sembra accogliere “con gioia” l’incontro con Lui. Ma poi si rattrista alla risposta di Gesù che gli chiede di rinunciare ai suoi possessi e alla fiducia in essi. Ricorda la parabola del seminatore. “Il seme caduto tra le spine sono coloro che, quando ascoltano la parola, sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e l’inganno della ricchezza e tutte le altre bramosie, e soffocano la parola e questa rimane senza frutto” (Mk 4:18-19): “e se ne andò via triste”.
Gli occhi di misericordia e di amore di Gesù si posano sul ricco (v.21) su tutte le folle (v. 23) e sui suoi discepoli (v.27): Dio guarda a tutti gli uomini con amore, perché vuole che tutti ricevano da Lui la salvezza. Davanti allo sguardo di amore di Gesù e alle sue parole che invitano a vendere tutto e a dare ai poveri, il ricco si rattrista. E’ evidente che confida di più nei suoi averi che in Dio, che è il donatore di tutto. La risposta di Gesù è diversa da ciò che il ricco si aspettava. Lasciare le ricchezze e seguire Gesù è più di quanto lui può fare. Ma davanti a Gesù i beni e le ricchezze non sono buone. Dio vuole che abbiamo o che non abbiamo? Dio vuole beneficarci (nel corpo e nello spirito), ma ci mette in guardia, affinché là dove noi possiamo avere tutto, non ci affidiamo a ciò che abbiamo, ma siamo pronti a lasciare tutti.
Una ultima osservazione ancora sulla domanda che questo uomo pone a Gesù: “Che devo fare…?” (o “Che cosa è bene che io faccia….? Che posso fare…? Che vuoi che io faccia….?). Non troviamo questa domanda nella bocca dei semplici discepoli di Gesù, né delle folle che seguono Gesù e gli portano i malati. Il ricco invece ha l’ardire di accostare Gesù, Dio, con questa domanda (contando probabilmente sulle possibilità di “fare del bene” che il denaro sembra assicurargli). Davanti a questa ipotesi così consueta nell’animo di noi ricchi, di potere fare con ciò che abbiamo qualcosa di bene che ci assicuri l’eredità del regno di Dio, Gesù risponde invitando l’uomo ricco a osservare i precetti della Legge di Dio, precetti dati ugualmente a tutti, poveri e ricchi; Gesù lo invita cioè a ritornare tra il suo popolo, senza volersi distinguere sulla base della ricchezza. La successiva esigenza che Gesù pone davanti al ricco, ciò che gli manca, è di rinunciare subito e completamente ai suoi beni, denaro e potenza, a ciò che gli permetterebbe – conservandoli – di continuare a poter fare del bene a sua discrezione, e incamminarsi dietro a Gesù verso la Pasqua. Così siamo molto vicini all’insegnamento di ieri: “Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino (che non ha né forza né possessi per guadagnarselo) non entrerà in esso”. Vi entrerà chi accetta di essere preso tra le braccia di Gesù per fare il viaggio con Lui.
Quel “tale” corre verso Gesù: è un segno del suo stato di angoscia; secondo la cultura orientale, infatti, non si deve correre in pubblico: è un comportamento disdicevole e disapprovato. Alla sua richiesta, Gesù risponde indicando i comandamenti; ma – come è stato osservato – “si dimentica” di quelli che riguardano Dio, e cita solo quelli che riguardano gli altri, dal rispetto della vita al soccorso dei genitori bisognosi. E’ stata chiamata “la via della comunità” per accedere all vita eterna. Tutti possono seguirla, anche quelli che non conoscono Dio. Per la pienezza della vita, però, c’è un dono che solo il “Dio buono” può fare: accogliere e vivere la prima beatitudine: Beati quelli che non si tengono strettamente avvinghiati ai propri beni, ma li condividono…, perchè anche gli altri abbiano e possano vivere.
Solo Matteo dice che si tratta di un “giovane”. Per Luca è addirittura un “capo”. Anche per Marco è un adulto, forse addirittura un anziano che può guardare indietro a tutta la sua vita, e dire che i comandamenti che Gesù gli ricorda li ha osservati “fin dalla giovinezza”(ver.20). Ci troviamo dunque davanti ad una vita sperimentata e perseverante nella fedeltà a Dio.
Con un gesto super-erogatorio – “..gettandosi in ginocchio davanti a lui..” – e chiamando Gesù “maestro buono” quest’uomo gli chiede una “svolta” radicale per la sua vita, un qualcosa di nuovo e di grande che gli consenta di orientare la sua lunga fedeltà perseverante verso un senso ultimo che la porti a pienezza, una pienezza che egli esprime dicendo “… per avere la vita eterna”. Ma Gesù lo riconduce alla “normalità” di una vita fedele ai comandamenti, come già evidentemente pronta ad “avere la vita eterna”. Niente di speciale e di straordinario. E fa precedere questo richiamo di umiltà dalla contestazione all’appellativo con il quale l’uomo lo ha chiamato:”Maestro buono”. Solo Dio è buono! Gesù si nasconde nella sua fedeltà al Padre per cui la sua stessa bontà è la bontà di Dio Padre in lui. Così è radicale la discesa che Gesù ha fatto nella comune condizione dell’uomo. E, contemporaneamente, questa è la prospettiva di vicinanza a Dio che Gesù offre all’umanità! Non una via di super-virtù, ma quella di un’accoglienza umile e radicale della presenza e della volontà di Dio nella propria vita.
I comandamenti che Gesù ricorda a quest’uomo sono espressi con una citazione semplice e molto libera del Decalogo, la tavola fondamentale della fede e della vita dell’ebreo. E l’uomo, certamente con grande sincerità, gli risponde di avere osservato questi precetti fin dalla giovinezza. Mi permetto qui di suggerire una considerazione che porti la persona e la vita di quest’uomo a simbolo dell’Israele fedele, forse un po’ esposto a qualche eccesso di sicurezza etica, ma certamente desideroso di compiere un nuovo grande passo. E’ un Israele che si getta ai piedi del Messia e gli domanda di poter entrare nella pienezza della sua storia fedele.
Gesù volge allora uno sguardo speciale verso quest’uomo – e, dicevamo, verso questo Israele fedele, e proteso alla pienezza di senso della sua esistenza e della sua storia – e “lo amò”: il Signore è giunto al punto del ritrovamento della creatura prediletta, amata e perduta. E questa creatura amata e perduta è stata finalmente ritrovata. E’ il prodigo che finalmente ritorna a casa.
Resta solo ormai l’ultimo passo, quello dell’amore totale, quell’amore tale che “se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio”(Cantico 8,7). Mi sembra molto affascinante lo “scambio logico” proposto da Gesù. Adesso si tratta di trasferire ogni ricchezza ai poveri, che saranno per quest’uomo “un tesoro in cielo”. E adesso, sulla terra, bisogna seguire Gesù! Questo chiarisce bene che la rinuncia alla ricchezza è conseguenza del primato dell’amore di Dio. Il riferimento fatto prima alla vicenda di Israele, ci fa capire che il significato di queste ricchezze è ampio. Non è solo la ricchezza materiale, ma è anche la ricchezza stessa della propria tradizione e del proprio patrimonio religioso; addirittura è la ricchezza della propria vita fedele!
La tristezza che il ver.22 rivela al nostro cuore è la scoperta inevitabile di tante “ricchezze” che dobbiamo purtroppo scoprire come più importanti per noi e più decisive, rispetto all’ipotesi di raccogliere in Lui ogni nostro bene.
Siamo ora ad un secondo “sguardo” di Gesù, uno sguardo che assume tutta la fatica dell’incontro tra Dio e l’uomo. Una fatica annidata in ogni cuore, una fatica che il regalo di queste parole ci costringe oggi a constatare in noi stessi. Ma lo fa anche Gesù insieme a noi, anzi è lui stesso a costringerci a non liquidare l’episodio di questa persona come una vicenda specifica e isolata, ma come la condizione di ogni uomo e donna della terra davanti alla prospettiva vertiginosa dell’amore e delle sue esigenze. L’immagine del cammello e della cruna dell’ago esprime la condizione globale dell’umanità, e in ogni modo svela a ciascuno di noi la sua personale condizione di tristezza rinunciataria. Tanto più tristezza, quanto più in ciascuno di noi è necessaria consapevolezza.
Credo sia importante e buono non sfuggire, ma far nostri, sia lo sbigottimento, sia il desolato quesito dei discepoli (ver.26). Come prima ci sentivamo “svelati” dalla tristezza del ricco, adesso è bene che ci troviamo umilmente solidali con la domanda che viene rivolta a Gesù. Perchè la cosa più bella è nascosta e rivelata dalle parole del Signore, e dal suo “terzo sguardo”, dove Gesù non celebra solo l’amore del primo sguardo, ma l’unisce alla compassione dolorosa del secondo sguardo, quello del ver.23, per volgere a noi lo sguardo della misericordia e della compassione, il terzo sguardo, quello che ci annuncia che non ci salviamo per le nostre opere, ma per il suo amore compassionevole per noi poveri ricchi. E’ lo sguardo che si accompagna alle sue parole meravigliose, antiche e nuove:”Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perchè tutto è possibile presso Dio”