28 Pietro allora gli disse: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”. 29 Gesù gli rispose: “In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, 30 che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna. 31 E molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi”.
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La meraviglia della dichiarazione di Pietro al ver.28 sta nel suo fiorire dal ver.27 e quindi nel suo essere così strettamente connessa con quello che i discepoli dicevano, sgomenti,al ver.26:”E chi mai si può salvare?”. A quella triste domanda Gesù aveva risposto:”Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perchè tutto è possibile presso Dio”. Sembra essere questa affermazione del Signore a rendere cosciente Pietro di un fatto di cui prima non si era accorto, ma addirittura, in certo senso, a “far essere” quello che Pietro dice al ver.28:”Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”. Cerco di non essere inutilmente complicato provando a dire che tutti noi abbiamo sperimentato che quello che dovremmo fare con la nostra poca fede e le nostre poche forze non avviene, mentre tutto si compie quando viene a noi come dono di Dio! E’ in quell’ “impossibile presso gli uomini” che Dio agisce. E’ là dove noi siamo irrimediabilmente sconfitti che Dio interviene e ci salva! E’ là, dunque, che quello che noi non sappiamo, o non possiamo, o non vogliamo fare, viene e si presenta e si attua in noi e per noi come dono del Signore. Non dunque le nostre capacità e i nostri meriti rendono misteriosamente bella la nostra vita, ma appunto il dono di Dio. Così diventa luogo di ringraziamento e di letizia quello che in noi rimarrebbe solo memoria ed evidenza di sconfitta. Può darsi che questa cosa dia una certa tristezza soprattutto alle persone più giovani e più dotate, ma posso assicurare che il cammino nel tempo porta a godere sempre più la bellezza e la pace di questo dover sempre più constatare quanto noi siamo fragili e poveri e quanto Lui sia buono e ci voglia bene.
Ai vers.29-30 Gesù non solo accoglie la scoperta buona di Pietro, ma addirittura la illumina e ne spiega il valore,e anche la fecondità. Tale fecondità si attua in due tempi: ci sarà la ricompensa finale, certamente, ed è quella che al ver.30 il Signore esprime con le parole “nel futuro la vita eterna”. Ma c’è una presenza attuale delle conseguenze dell’ “aver lasciato tutto” che richiama l’intera nostra attenzione. Tutto il discorso è retto dal verbo “lasciare”: chi avrà lasciato quel “tutto” che Gesù specifica nei beni di “casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi”. Ma è necessaria un’altra precisazione:”..a causa mia e a causa del vangelo”. La fede cristiana, cioè, non attribuisce un potere o un valore spirituale alla rinuncia in quanto tale. Dico questo, perchè tale concezione è tipica delle spiritualità orientali che vedono in questo un essenziale processo di “spiritualizzazione, purificazione, elevazione…” di chi pratica queste rinunce. Qui la rinuncia vale per la causa che l’ha generata e per il fine che ne consegue, cioè il Signore e il suo Vangelo.
E’ molto interessante l’annuncio di quel ricevere “già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni”. Provate a pensare se ha qualche valore anche il fatto che per la rinuncia si parlava di una cosa “o” l’altra, mentre nel ricevere si dice di una cosa “e” di un’altra. Ma soprattutto possiamo riflettere con attenzione lieta su questo “cento volte tanto” che sembra promuovere una sapienza e una cultura di comunione che non è abolizione della proprietà e dittatura del proletariato, ma è quel sentire ogni cosa come “nostra”, realtà affidata a noi e al nostro amore fraterno. Forse sono troppo confuso!
Certo, ci sono le persecuzioni, insieme a tutto questo e anche a motivo di tutto questo. Sarebbe come se oggi noi vivessimo come nostre le famiglie, le case e i campi degli abitanti del Nord Africa, considerando nostre e loro le cose nostre. Che questi atteggiamenti spirituali, mentali, culturali e forse alla fine persino politici possano provocare qualche irritata violenza, non ci sarebbe da stupirsene. Per noi la salvaguardia sarebbe sempre il senso profondo di quel “lasciare tutto”. A questo proposito devo dire che mi sembrerebbe assurdamente riduttivo, e quindi sbagliato, pensare che queste indicazioni siano date solo per i “frati” e non per tutti i cristiani. Si deve invece riflettere e pregare sul significato di quel “lasciare..a causa di Gesù e del suo Vangelo”. Mi sembra che il lasciare sia l’interpretare in modo nuovo tutto quello che siamo e che abbiamo, che ormai vediamo come nostro per quello che riguarda la responsabilità di amministrare bene la nostra vita, ma che vediamo di tutti per quello che riguarda la destinazione e il riferimento a Gesù e al nostro prossimo.
Secondo il ver.31 prospettive di questo tipo esprimono il giudizio del Vangelo sul mondo e sulla storia, e l’annuncio di cieli nuovi e terra nuova. A noi il compito di trarne le indicazioni sapienziali e morali.
Nella risposta a Pietro – che gli aveva implicitamente chiesto “e noi cosa riceveremo dall’avere lasciato i nostri beni” – Gesù dapprima elenca ciò che i discepoli hanno lasciato: una serie di relazioni familiari importanti, insieme ai campi; ma poi, elencando ciò che riceveranno già in questa vita (il centuplo di tutto quello lasciato) non cita i “padri”. Forse Gesù vuole così sottolineare che i nuovi rapporti familiari, moltiplicati al centuplo, che i discepoli troveranno là dove seguono Gesù e il Vangelo, sono ricevuti dall’ “unico Padre”: Un solo Dio, Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4:6). Così come il comando di “non chiamare nessuno padre sulla terra” riconduce l’attenzione dei discepoli alla unica paternità comune di Dio, che così fa di noi tutti fratelli e sorelle.
Marco aggiunge rispetto a i sinottici, che la ricompensa “in questa vita” sarà “insieme a persecuzioni”. Come leggiamo anche in Gv 15:20: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”, dice Gesù ai discepoli.
Confrontato col testo di ieri, nel brano di oggi Gesù non sembra ricordare che i suoi discepoli abbiamo “venduto beni, denaro e ricchezze” come aveva chiesta a quel ricco, né che li abbiano distribuiti ai poveri. Nonostante questa non corrispondenza letterale, ci sembra che l’accostamento dei due brani suggerisca un parallelo che porta a considerare come i nuovi rapporti (centuplicati) di fraternità guadagnati con il seguire Gesù abbiano come referenti proprio i poveri di ieri: seguendo Gesù e il Vangelo (la Grande Regola) riceviamo i poveri come nostri familiari.
Gesù dice che chi lascia tutto per Lui e per il Vangelo, riceve tutto là dove si troverà poi a vivere. Come dice anche il paragrafo della nostra Piccola Regola sulla povertà: “lavorare per vivere, e versare alla comunità ogni nostro provento, ricevendo da essa il vitto, il vestito, l’abitazione e ogni oggetto d’uso”.
Cosa vuol dire che i primi saranno ultimi e gli ultimi i primi? Se io sono l’ultimo, come posso trovarmi al primo posto? Perché l’amore di Dio è per tutti. Come è stato per l’operaio dell’ultima ora. Anche lui riceve, come gli altri, la ricompensa dell’amore di Dio. Non importa se per le nostre opere siamo primi o ultimi; Colui che valuta e ricompensa è Dio solo.