19 Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20 Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». 21 Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». 22 A queste parole rimasero meravigliati, lo lasciarono e se ne andarono.
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Il pericolo è la “confusione” o addirittura il “capovolgimento” di questa “restituzione”!
Provo ad esprimere un pensiero senza troppo rischiare di confondere!
Non si tratta qui di fare “le parti giuste”! E neppure (!) di pretendere che si dia a Cesare quello che è di Dio, e solo di Dio!
E allo stesso modo, non si deve pretendere che si dia a Dio quello che è di Cesare: qui l’immagine della moneta e quindi la moneta come simbolo del potere mondano è piuttosto esplicita!
La moneta non è di Dio.
E’ significativo che nel tempio di Gerusalemme non potevano entrare tali monete! Il “cambia-monete” aveva il compito di “cambiare” le monete con il “siclo” che era appunto l’unica moneta ammessa nel Tempio per chi doveva acquistare un animale come vittima del sacrificio.
La creatura umana, invece, e la sua storia, e la sua destinazione divina, non sono attribuibili a Cesare.
La creatura umana e la sua destinazione sono di Dio!
E dunque chiamate, nella Persona e nella Pasqua di Gesù, il Figlio di Dio Figlio dell’uomo, ad essere restituite e offerte a Dio!
Facciamo un esempio per provare a precisare!
L’uomo non può essere impiegato e speso per le logiche della potenza mondana, del potere e della guerra!
La sua destinazione è Dio e l’amore di Dio, e l’Amore che è Dio!
Per questo è molto interessante anche l’ultimo versetto del nostro brano (ver.22), che non esprime un “disappunto” da parte dei farisei, ma piuttosto una meraviglia. Uno stupore! Qualcosa di “nuovo” che sarà è pienamente rivelato e donato dalla Pasqua di Gesù, come offerta d’amore al Padre per la salvezza dell’umanità.
Per la salvezza di tutta la creazione e di tutta la storia!
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
La parola determinante – dicono gli esperti – è quel “Rendete”. Possedere e usare la moneta romana voleva dire anche riconoscere l’autorità, il primato di Cesare, cioè dell’imperatore, considerato quasi come un dio. Restituirgli la sua moneta voleva dire sottrarsi a questo dominio, a questa usurpazione, e rinunciare ai vantaggi economici che sacerdoti e capi ne traevano. E al vero Dio cosa dovevano restituire? La risposta più ovvia sembra essere: il suo popolo, di cui scribi e sacerdoti si erano appropriati col sistema religioso che avevano creato. Ma questa “restituzione” è importante anche per noi oggi: riportare a Dio “la creatura umana… e la sua storia, e la sua destinazione divina”, come scrive Giovanni. Questa umanità, di cui facciamo parte, appartiene a Lui ed è bello rivivere le parole del Salmo 100: “… Egli ci ha fatti e noi siamo suoi, / suo popolo e gregge del suo pascolo”.