9 Poi prese a dire al popolo questa parabola: «Un uomo piantò una vigna, la diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano per molto tempo. 10 Al momento opportuno, mandò un servo dai contadini perché gli dessero la sua parte del raccolto della vigna. Ma i contadini lo bastonarono e lo mandarono via a mani vuote. 11 Mandò un altro servo, ma essi bastonarono anche questo, lo insultarono e lo mandarono via a mani vuote. 12 Ne mandò ancora un terzo, ma anche questo lo ferirono e lo cacciarono via. 13 Disse allora il padrone della vigna: “Che cosa devo fare? Manderò mio figlio, l’amato, forse avranno rispetto per lui!”. 14 Ma i contadini, appena lo videro, fecero tra loro questo ragionamento: “Costui è l’erede. Uccidiamolo e così l’eredità sarà nostra!”. 15 Lo cacciarono fuori della vigna e lo uccisero. Che cosa farà dunque a costoro il padrone della vigna? 16 Verrà, farà morire quei contadini e darà la vigna ad altri».
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Mi sembra che le note delle bibbie liquidino tropo frettolosamente il significato di questa parabola, interpretandola come il rifiuto di Israele nei confronti del Messia.
A me sembra che essa si presenti anche oggi, e a noi, in tutta la sua attualità per ogni nostro tentativo – o rischio! – di “impadronirci” del dono di Dio, e centralmente di Gesù stesso, dimenticando che l’abbiamo ricevuto da Dio!
Ogni “mondanizzazione” della fede, ogni nostra possessività che dimentichi che tutto è sua grazia che noi possiamo e dobbiamo custodire e di cui dobbiamo rendere conto al nostra Signore, è rivelata dalla Parola che oggi il Signore ci regala!
Anche la venuta di questi “servi” del Signore che ci vengono a chiedere il frutto della vigna di Dio, sono il nostro stesso “prossimo”, e soprattutto il “prossimo” dei poveri, dei piccoli, dei lontani e degli affetti più preziosi che Egli ci ha affidati, e che non sono nostra “proprietà”, ma sono i meravigliosi doni di Dio da custodire perché tutto e tutti possano essere “restituiti” a Lui nella nostra laboriosa carità!
Il rischio e la tentazione sono quelli di stravolgere come “nostro” quello che è di Dio!
Il “Figlio” mandato come supremo e prezioso inviato da Dio è, proprio nella sua Pasqua, quel dono divino che ci annuncia in se stesso e nel suo sacrificio d’amore la via sublime di una “restituzione” al Padre di noi stessi e di tutto quello e di tutti quelli che Egli ci ha affidato!
Tale è il dramma del volersi impadronire del “dono”, della “grazia” che ci è stata affidata per tutto stravolgere nella nostra mondana possessività.
Invece di servire il Signore nella cura della sua vigna, il pericolo e il dramma potrebbe essere quello di impadronirci e di autoglorificarci di quello che ci è stato dato perché lo possiamo restituire arricchito della nostra umile e fedele operosa custodia.
E “gli altri” sono i molti-moltissimi che vicini a noi, ma anche fino ai confini della terra, attendono di entrare nello stesso dono nel quale noi viviamo come figli di Dio.
Ma anche loro sono amati da Dio come suoi figli!
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Ci meravigliano la costanza, la fiducia “ingiustificata” del padrone della vigna, che si ostina a mandare i suoi funzionari nonostante il cattivo esito. Segno della “ostinazione” di Dio nell’amarci, nel non arrendersi di fronte alle delusioni che gli diamo. Manda il figlio, il diletto, l’unico; e qui Gesù, con le sue parole, prefigura con chiarezza la sua sorte imminente: sarà ucciso fuori della vigna, fuori della città. – Riporto da un commento di Castillo questa riflessione:
“Il Vangelo non è stato scritto per fomentare il disprezzo o il risentimento contro i giudei. O contro nessuno. Il Vangelo è la memoria di Gesù e della sua presenza nella comunità cristiana. Questa memoria e questa presenza ci dicono che anche noi cristiani, il popolo ed i suoi dirigenti, possiamo pensare di essere i nuovi proprietari della vigna del Signore, poiché (presumibilmente) è stata consegnata a noi. No. Nessuno è padrone della vigna. Il padrone è solo Dio. E da noi esige che coltiviamo con attenzione e sforzo questa vigna. Ma di fatto non l’abbiamo troppo abbandonata e molto mal coltivata?”