Riportiamo di seguito il testo della recensione al libro di Fabrizio Mandreoli  “Giuseppe Dossetti” pubblicata sull’Osservatore Romano di mercoledì 11 luglio 2012.
(link alla pagina 4 del giornale in formato PDF).

Fabrizio Mandreoli ripercorre l’appassionante cammino di Giuseppe Dossetti

IN NOME DEL FINE
Un uomo “sentinella” in ascolto della Parola

L’articolo di Emanuela Ghini:

E’ possibile parlare di Giuseppe Dossetti come di un profeta. Un uomo che ha avuto una coscienza del suo tempo e del Cristianesimo di una lucidità eccezionale, coniugando profezia religiosa e civile, in uno straordinario ascolto del Vangelo e della storia.

Una storia iniziata per lui a Cavriago (Reggio Emilia), pochi mesi dopo la nascita a Genova (13-02-1913),  e da subito cristiana, per una fede ricevuta nel battesimo e sviluppata prima da una madre dolcissima e forte — Ines Ligabue –, in seguito da un sacerdote, Dino Torregiani, che avvia il piccolo Giuseppe alla scoperta di tutte le povertà, inizio di quel guardare lontano che connoterà la sua vita.

E’ possibile accostare Giuseppe Dossetti da tante prospettive; per richiamarne solo alcune: il docente di diritto ecclesiastico, il politico, deputato alla Costituente e alla Camera,  il vicesegretario della DC di De Gasperi, il fondatore, con La Pira, Lazzati, Fanfani, della rivista “Cronache sociali, voce nuova nel mondo culturale italiano (1947-1951).

Considerare i molteplici aspetti dell’attività di Giuseppe Dossetti togliendoli dalla loro radice unificante, porta ad assolutizzare espressioni importanti e affascinanti dell’uomo eccezionale che è stato e continua ad essere, ma comporta il rischio di perdere di vista il nucleo centrale della sua  straordinaria personalità.

Questo nucleo è costituito da un lato dal  battesimo, le energie di grazia accolte da uno spirito proteso all’ascolto e all’ assoluta coerenza alle sue esigenze, in risposta al dono della fede; dall’altro, e in dipendenza da essa, dalla coscienza del fine affermata a 27 anni con una lucidità che illuminerà la sua esistenza: Occorre che io ritorni sempre alla considerazione del mio fine: solo essa mi può dare l’idea esatta dell’uso che sto facendo della mia vita. E’ l’anima di quella tensione escatologica che informerà tutta la vita di Dossetti, dall’appartenenza all’Istituto Milites Christi Regis di Lazzati alla fondazione di una comunità monastica.

Impressiona  seguire negli Appunti spirituali dal 1939 al 1955, diario di una coscienza di straordinaria integrità, la tensione al fine a cui viene orientato e subordinato tutto, con una inflessibilità mite ma irremovibile, che nel 1949-50 lo condurrà ad affermare: La vocazione religiosa deve essere il grande fatto, l’evento centrale della mia vita. Definitivo e continuamente rinnovato. Tutto ne dipende… Tutto il resto è mezzo. In particolare è mezzo la vita politica.

Il suo ingresso in politica nel drammatico periodo postbellico ha un unico scopo, espresso da lui stesso: contenere le azioni comuniste arbitrarie, le uccisioni selvagge, la scomparsa di tante gente.

Il fine, escatologico, ma anticipabile in qualche misura nella storia, ha condotto Giuseppe Dossetti a un incessante progredire, quasi suo malgrado, verso un  distacco sempre più radicale da ogni impegno operativo a  uno spogliamento crescente e inarrestabile..

Giacomo Biffi ha visto nella fede di Dossetti “una assolutezza di donazione e di amore che può davvero essere paragonata a quella di Abramo, disposto a sacrificare alla volontà trascendente di Dio addirittura il figlio della promessa”…

La radicalità dell’impegno in un cammino di fede senza sconti, come amava dire,  ha la sua fonte nella frequentazione incessante della Scrittura. Letta, studiata, scrutata, ruminata, soprattutto pregata.  Assimilata in una lectio continua, quotidiana, alla luce della Tradizione della Chiesa, in un rapporto  che sfocia nell’eucaristia, che della Chiesa è fonte e vertice, come lo è di tutta la preghiera.

Da qui ha origine il magistero spirituale di questo padre non solo dei figli della comunità da lui fondata, ma di chiunque si rivolgesse a lui per aiuto in un discernimento che trovata in questo scrutatore dei cuori accoglienza immediata, e un accompagnamento destinato a non finire nel tempo.

Questì richiami alla centralità del carisma di Giuseppe Dossetti, quasi il fulcro  da cui irradiavano e irradiano le sue inesauribili energie di intelligenza, di cultura, di capacità di governo, di conoscenza profonda dell’uomo, della storia, della vastità dei mondi in cui abita e di quelli infinti a cui tende sono suscitati, o risvegliati in chi ha avuto il dono di conoscerlo, da una sintesi della vicenda complessa e unitaria di Giuseppe Dossetti compiuta da Fabrizio Mandreoli. ( Giuseppe Dossetti, Trento, Il Margine , 2012, p.157, eu 15).

Di fatto, è un’introduzione che apre all’ascolto di tutto l’uomo,  compiuta con una partecipazione e passione che restituiscono il testimone che Dossetti è stato nella completezza  del suo servizio a Dio e agli uomini.

Quale che ne sia il fine, essa apre a Dio. Al contrario, una concezione dell’esistenza che enfatizzi le esperienze – di qualsiasi genere siano, anche spirituali – si disperde in esse, si depaupera fino allo smarrimento.

Ma le convinzioni profonde e le azioni  che hanno segnato un’esistenza dai molteplici volti e dall’unica  mèta hanno un valore ben superiore agli ambiti in cui si sono espresse, Sporgono  dal tempo e assumono connotati perenni. Fabrizio Mandrioli rileva come, “una volta recepite e rielaborate in contesti nuovi, siano dei vettori e delle prospettive importanti per i nostri giorni e la vita della Chiesa, dei cristiani, della politica italiana e, più in generale, della convivenza sociale nel nostro Paese”.

Una norma di vita valida in ogni ambito dell’agire umano, dal pensiero all’azione,  è guardarsi dal fare per il fare,  dal divenire preda di un attivismo agitato e alla fine sterile. Il rischio del pelagianesimo insidia tutti, i cattolici devono fare affidamento non sulle proprie iniziative, per quanto possano apparire elevate e intese al bene di tutti, ma sulla grazia. L’eredità di Antonio Rosmini, che Dossetti aveva letto da giovane, è spesso sottesa ad alcune sue tesi.

Dal 1952 i vari distacchi che egli va compiendo  in progressione e che lo condurranno sempre più lontano lo aprono a una stagione ecclesiale animata e palpitante,  di cui sono frutto   la nascita della Famiglia spirituale e la partecipazione al Concilio e al postconcilio.

La sua immersione   sempre integrale — con tutte le forze –, in  ogni evento al quale è chiamato a partecipare matura in lui la lucida consapevolezza della fine di una cultura, del venir meno di maestri, della crisi globale di una civiltà. E insieme la convinzione  che la riforma della Chiesa e della società possa nascere solo da un’ adesione  sempre più completa alla Parola di Dio, e al suo cuore più intimo, il Vangelo, vissuto in una sequela integrale a Gesù. Per vie diverse da quelle progettate personalmente, in  una continua conversione, una purificazione perenne, una fatica aperta all’illuminazione.

1968:  il card. Lercaro lascia ll governo della diocesi di Bologna;  nello stesso anno muore la madre di “don Giuseppe”, divenuta dal 1959  madre anche delle sorelle della Piccola Famiglia.  In seguito alla  rottura di  questi ormeggi, Dossetti si reca a Bangkok a un congresso mondiale sul monachesimo, e torna dopo un lungo pellegrinaggio in India e in vari paesi del Medio Oriente.

L’esperienza  di mondi diversi, di civiltà antichissime dalle radici intensamente spirituali induce Dossetti a riflessioni profonde e in primo luogo all’esperienza di  una grande umiliazione: la verifica della piccolezza dell’Occidente e al contrario della grandezza della sua presunzione, la convinzione che tutti i problemi che lo agitano sono poca cosa: sono stato potentemente umiliato, ho patito le più grandi e più concrete, profonde, spirituali umiliazioni della mia vita.

Questo drastico ridimensionamento di problemi, anche di natura ecclesiale, ha su Dossetti un influsso decisivo, lo convince dell’ urgenza di risalire alle origini più profonde del Cristianesimo, a un modo nuovo di viverlo. Il  suo desiderio di sempre di una Chiesa povera, incentrata sulla Scrittura e l’Eucaristia, dispensatrice di amore e di speranza, si coagula, per così dire, nel cuore della Chiesa, a monte di ogni possibile mediazione con un mondo disinteressato ad essa ma affamato comunque di Cristo.

Se l’esperienza dell’incontro con altri mondi l’aveva condotto a una visione di grande pace, essa l’induce anche a ridimensionare la fiducia in tentativi di  riforma della Chiesa  di cui avverte la scarsa efficacia davanti  al messaggio essenziale del Cristianesimo:  Cristo, realtà inesauribile, abisso in cui cadere con tutto l’essere – intelligenza, volontà, sentimento – per attingere vita e parola di discepolo.

Da qui lo sprofondarsi nella preghiera, prima inderogabile necessità del cristiano e del monaco, immersione silenziosa nell’universo della sofferenza umana..

Dossetti  considererà la vita e le attività precedenti alla fondazione della sua Piccola famiglia dell’Annunziata come preparazione alla vita che, come quella monastica nelle   sue varie forme, non si sceglie, ma per la quale si è scelti e nella quale egli vede la ricapitolazione di ogni tappa del suo cammino.

Vita monastica che, come per i padri del deserto, è semplicemente vita cristiana vissuta con coerenza, vita in Cristo e nello Spirito, che prega il Padre in ogni coscienza anche inconsapevole. Non fuga dal mondo, ma anzi inserimento più radicale e più esigente nel cuore del mondo. In grado di dare alla Chiesa e alla comunità degli uomini un contributo importante, tanto maggiore quanto più nascosto.

Il monastero è un laboratorio.in cui si vivono esperienze e si tessono fili di comunione, di solidarietà, di pace. A un livello povero, nell’ambito di una carità da persona a persona.

Vita monastica non come unica  modalità di servizio — la regola della Piccola Famiglia dell’Annunziata è seguita anche da famiglie guidate da norme proprie — ma come richiamo forte all’essenza del Cristianesimo.

Nella sua Piccola Famiglia, tra i sui figli amatissimi, Dossetti muore, il 15 dicembre 1996, lasciando un’eredità di pensiero e la forza di una testimonianza che passeranno alla storia civile, politica, soprattutto cristiana ed ecclesiale.Come, a soli due anni dalla morte, la sua difesa dei principi etici informatori della Costituzione, compiuta con l’umile forza del vecchio monaco che veglia sulla città degli uomini.

Fabrizio Mandreoli, con la competenza dello storico e la sensibilità del cristiano, ha reso un valoroso, esauriente,  documentato contributo alla conoscenza di un testimone di rara purezza evangelica.

Se fosse possibile racchiudere una vita entro un’inclusione, ripeteremmo che i due estremi di quella di Giuseppe Dossetti sono, come è stato detto, il suo  sguardo di giovanissimo nel 1931 alla Sindone, in cui la madre colse la  sua consegna totale al Signore Gesù, e quello del “grande vecchio” nel  1996 al Crocifisso, nell’offerta ultima della vita. Tra i due estremi l’umile risolutezza dell’adesione, per un amore assoluto alla Chiesa e all’umanità, alla croce gloriosa di Gesù Cristo.

Emanuela Ghini – Osservatore Romano, mercoledì 11 luglio 2012