1 L’uomo, nato da donna, ha vita breve e piena d’inquietudine; 2 come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l’ombra e mai si ferma. 3 Tu, sopra di lui tieni aperti i tuoi occhi, e lo chiami a giudizio dinanzi a te? 4 Chi può trarre il puro dall’immondo? Nessuno. 5 Se i suoi giorni sono contati, il numero dei suoi mesi dipende da te, hai fissato un termine che non può oltrepassare. 6 Distogli lo sguardo da lui perché trovi pace e compia, come un salariato, la sua giornata! 7 È vero, per l’albero c’è speranza: se viene tagliato, ancora si rinnova, e i suoi germogli non cessano di crescere; 8 se sotto terra invecchia la sua radice e al suolo muore il suo tronco, 9 al sentire l’acqua rifiorisce e mette rami come giovane pianta. 10 Invece l’uomo, se muore, giace inerte; quando il mortale spira, dov’è mai? 11 Potranno sparire le acque dal mare e i fiumi prosciugarsi e disseccarsi, 12 ma l’uomo che giace non si alzerà più, finché durano i cieli non si sveglierà né più si desterà dal suo sonno. 13 Oh, se tu volessi nascondermi nel regno dei morti, occultarmi, finché sia passata la tua ira, fissarmi un termine e poi ricordarti di me! 14 L’uomo che muore può forse rivivere? Aspetterei tutti i giorni del mio duro servizio, finché arrivi per me l’ora del cambio! 15 Mi chiameresti e io risponderei, l’opera delle tue mani tu brameresti. 16 Mentre ora tu conti i miei passi, non spieresti più il mio peccato: 17 in un sacchetto, chiuso, sarebbe il mio delitto e tu ricopriresti la mia colpa. 18 E invece, come un monte che cade si sfalda e come una rupe si stacca dal suo posto, 19 e le acque consumano le pietre, le alluvioni portano via il terreno: così tu annienti la speranza dell’uomo. 20 Tu lo abbatti per sempre ed egli se ne va, tu sfiguri il suo volto e lo scacci. 21 Siano pure onorati i suoi figli, non lo sa; siano disprezzati, lo ignora! 22 Solo la sua carne su di lui è dolorante, e la sua anima su di lui fa lamento».
Seleziona Pagina
COMMENTO
“L’uomo, nato da donna” del ver. 1 è ripreso da S. Paolo nella Lettera ai Galati (4,4) per parlare del mistero dell’Incarnazione: “Quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli”.
Ai vers. 12,13 e 14 ci sono tre “finché”, che aprono ad una prospettiva futura, finale, di riscatto dalla morte che Giobbe denuncia e lamenta: oltre i cieli, oltre l’ira, oltre l’ora del cambio, Giobbe si aspetta un nuovo intervento di Dio per la salvezza dell’uomo.
Al ver. 21 le espressioni “non lo sa” e “lo ignora” indicano l’impossibilità per l’uomo di fare affermazioni sicure sulla realtà, quindi l’apertura alla possibilità che la morte non sia l’ultima parola che si può dire.
Infine, il ver. 22 (“Solo la sua carne su di lui è dolorante, e la sua anima su di lui fa lamento”) ci vuol dire che non cessano mai il dolore e il lamento di quest’uomo, che è profezia del Figlio di Dio sofferente fino alla fine dei tempi. Anche nell’iconografia bizantina classica il Crocifisso ha gli occhi aperti, indicando una sofferenza portata già nella luce della risurrezione.
Dio vi benedica e voi pregate per noi. Giovanni e Francesco