7 Allora il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d’Egitto, si è pervertito. 8 Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicata! Si son fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: Ecco il tuo Dio, Israele; colui che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto».
9 Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo e ho visto che è un popolo dalla dura cervice. 10 Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga. Di te invece farò una grande nazione». 11 Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, divamperà la tua ira contro il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d’Egitto con grande forza e con mano potente? 12 Perché dovranno dire gli Egiziani: Con malizia li ha fatti uscire, per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla terra? Desisti dall’ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo popolo. 13 Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo e tutto questo paese, di cui ho parlato, lo darò ai tuoi discendenti, che lo possederanno per sempre». 14 Il Signore abbandonò il proposito di nuocere al suo popolo.

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Entro con molto timore nel tentativo di esprimere qualche riflessione su queste parole, troppo importanti e delicate per la mia poca fede. L’impressione più forte che constato in me circa i vers.7-10 è quella della “debolezza” di Dio. Pur con tutti i pericoli di una sua reazione molto dura, quello che in realtà emerge è una sua misteriosa fragilità e l’appoggio che Egli cerca di trovare in Mosè. Non c’è dubbio, è Mosè il personaggio forte, e infatti, sarà lui il “vincitore” in questo dialogo che mi appare drammatico ma insieme anche molto dolce!
Già al ver.7, con quel “Va’, scendi…”, sembra di cogliere un istintivo desiderio di Dio di tenersi indietro dal dramma che si sta compiendo giù dal monte. L’impressione è rafforzata dal seguito, dove Dio dice “il tuo popolo”; Mosè infatti, aggiusterà le cose al ver.11 dicendo a Dio “il tuo popolo”. Dio qui mi fa pensare ad Adamo in Genesi 3 quando Eva non è più la sua sposa, ma è “la donna che tu mi hai data”. Sembra che Dio tenda a non assumersi la responsabilità del suo popolo e tenti di scaricarla su Mosè! E per giunta dice anche che questo è “il tuo popolo che tu(!!) hai fatto uscire dall’Egitto”! E il ver.8 è tutta l’amara constatazione di Dio su come il popolo non abbia saputo custodire il suo dono. Ancora una volta si ritorna al tema dell’uscita dall’Egitto, per dire che essa viene ora attribuita al vitello!
Nella ripresa di parola da parte di Dio ai vers.9-10 si arriva alla suprema rivelazione di questa debolezza di Dio, che ora è debolezza davanti a Mosè:”Lascia che la mia ira si accenda…”. Ma questo è il principio della grande intercessione di Mosè, che farà rientrare i severi propositi di Dio. La “pericolosa” onnipotenza della santità di Dio è dunque il principio della grande intercessione del Mediatore. Senza il Mediatore la potenza divina sarebbe pericolosamente squilibrata? E anche l’ipotesi divina di ricominciare tutto dal solo Mosè – al ver.10 – riesco a leggerla solo in un orizzonte di fragilità e di rassegnazione a che tutto sia stato rovinato irreparabilmente. Capisco che si potrebbe ribattere che l’atteggiamento di Dio è teso semplicemente a dimostrare quanto sia grave il peccato del popolo. Tuttavia mi pare che non si possa non cogliere anche la bellezza del suo animo che lo vede così colpito dal male commesso dal popolo.
La grande supplica di Mosè ai vers.11-13 si presenta anche come il grande aiuto che Mosè offre a Dio per incoraggiarlo verso la misericordia. Tre sono gli “argomenti” messi in campo da Mosè. Il primo: Come potrà Dio contraddire la sua meravigliosa impresa di liberazione del suo popolo? Il secondo: Dovranno gli Egiziani interpretare questi fatti come l’inganno di Dio contro il suo popolo, fatto uscire per essere poi annientato tra le montagne e fatto sparire dalla terra? Terzo argomento: La grande, duplice promessa promessa divina fatta ad Abramo, Isacco e Giacobbe, circa l’immensa posterità e la terra che avrebbe donato loro.
Rapidamente Dio cede a Mosè. Questo era forse l’intendimento segreto che lo ha spinto a tutta quella “scenata”? Forse in questo modo Dio se la cava e riesce a passare la grana a Mosè che, come vedremo, sarà lui a fare la parte dura con il popolo idolatra? Io penso che in realtà qui ci troviamo al cuore del mistero della fede ebraico-cristiana: Dio è inevitabilmente questo intreccio di potenza-debolezza, severità-misericordia, lontananza-prossimità, ira-affetto, impazienza-pazienza, giudizio-perdono….Mosè è suprema profezia della misericordiosa Pasqua del Figlio di Dio….Emerge da questo testo la profezia di quello che in Cristo sarà rivelato: Dio come comunione d’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Se vi sembra una pazzia, stracciate tutto e dimenticate.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Lo strappo irreparabile operato dal popolo con il vitello d’oro, mette in crisi la stessa identità di Dio. Dice a Mosè: “Va’, scendi, perché il TUO popolo, che TU hai fatto uscire dal paese d’Egitto, si è pervertito”. Non è più suo perchè è stato rifiutato, tradito per altri dei. Ma Mosè nella sua preghiera fa leva proprio su questo: “divamperà la tua ira contro il TUO popolo, che TU hai fatto uscire dal paese d’Egitto con grande forza e con mano potente?… Ricordati di Abramo…”.
Anche lo strappo più grave, profondo, definitivo Dio lo può ricucire perchè non può rinnegare se stesso. Farà scendere Gesù, il suo unico FIglio, a morire tra gli uomini!
Il versetto 13 dove Mosè ricorda a Dio il giuramento fatto ai padri Abramo, Isacco e Israele mi ha fatto pensare a Isaia 62,6-7: “Voi che rammentate le promesse al Signore, non prendetevi mai riposo e neppure a Lui date riposo finchè non abbia ristabilito Gerusalemme e finchè non l’abbia resa il vanto della terra”.
Mi è venuto in mente il Getsèmani dove Gesù, solo, non ha preso sonno ed ha vegliato.
Mi sembra che Mosè sia figura di Gesù e di chi, crocifisso con Cristo, non è più lui che vive, ma è Cristo che vive in lui. (Gal.2,20)
Le parole di Dio del v.7 “il “tuo” popolo che “tu” hai fatto uscire”, più che per sottolineare la partecipazione di Mosè all’opera di Dio di liberazione del popolo dalla terra d’Egitto, sembrano dette per manifestare l’amarezza di Dio, la sua delusione.
Davanti al faraone Dio, per bocca di Mosè, aveva dichiarato tante volte “il “mio” popolo”. Il risultato della supplica di Mosè sarà che il Signore abbandonerà il proposito di nuocere al “suo” popolo. Però la prima parola detta a Mosè è significativa: “scendi”, come egli stesso era sceso in Egitto per liberare il popolo (cfr 1 lettura di domani). Non gli dice resta qui sul monte, oppure non mischiarti a questo popolo perverso; in fondo lo rimanda proprio in mezzo al popolo. Mosè, che sappiamo obbedientissimo al suo Dio e alla sua Parola, qui comprende che la sua obbedienza non gli permette di accedere a ciò che il Signore gli dice: “lasciami”. Il dialogo di Dio con Mosè è tutto interno alla loro comunione.
Al v.12 Mosè usa parole forti. Rispetto a: “abbandona (altrove tradotto col verbo pentirsi) il proposito di fare del male a questo popolo”, lo ritroviamo diverse volte nei profeti, dove Dio dichiara la sua volontà e il suo desiderio di pentirsi del male promesso o fatto, a seguito del ritorno e del pentimento del popolo. Qui la grandezza della supplica di Mosè è che chiede questo prima.
Il dialogo di Dio e Mosè riporta fortemente al vangelo di domani (anno c Lc 13, 1-9), al dialogo della parabola tra il padrone della vigna e il vignaiolo, in modo ancora più esplicito tutto interno al mistero stesso di Dio. Da notare che nel vangelo in modo chiarissimo l’esaudimento di Dio è poi lo spazio e il tempo dato per la nostra conversione; possibile per altro solo per il lavoro del vignaiolo, di cui la discesa di Mosè è già prefigurazione.La supplica di Mosè e la sua efficacia, è tutta legata al nome stesso di Dio che egli proclamerà a Mosè al cap. 34, 6-7 (cfr anche Nm 14,18).