14 Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre, 15 dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, 16 perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell’uomo interiore. 17 Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, 18 siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, 19 e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.

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Paolo si mette in preghiera: “piego le ginocchia al Padre di nostro Signore Gesù Cristo”, come aggiungono vari codici. Da Lui viene ogni “paternità”: il termine indica, dicono le note, ogni famiglia o stirpe, basata su di una discendenza; da Dio, quindi, viene ogni vita che noi trasmettiamo. Paolo chiede che sia rafforzato, per opera dello Spirito, “l’uomo interiore”, che viene poi così descritto: colui nel quale abita il Cristo; colui che è radicato e fondato nella carità; colui che fa una tale esperienza di Cristo da riuscire a cogliere qualcosa del mistero di Dio e della salvezza (come si diceva in latino, “latitudo et longitudo, sublimitas et profundum…”), per essere riempito della pienazza di Dio.
Padre, donaci il tuo Spirito. E’ lui che ci dà forza e non le nostre opere. Che i nostri cuori si facciano sempre di più abitazione di Cristo. Che Cristo rimanga in noi e noi in lui. Siamo alberi, siamo costruzioni. Siamo in divenire, “radicati e fondati nella carità”. Solo così potremo comprendere, accogliere il tuo mistero di amore, il tuo progetto, il tuo sogno per noi. La sua ampiezza, perché è riversato su tutta l’umanità, senza esclusioni. La larghezza, perché tu semini abbondantemente su tutti i terreni. L’altezza, perché solo il tuo amore ci può far salire fino a te. La profondità, perché tu entri nell’esistenza di ciascuno, nell’interiorità più profonda e nascosta, nel segreto di ogni cuore. Facci conoscere l’amore di Cristo, “che sorpassa ogni conoscenza“. Lui, amore crocifisso, si fa conoscere nell’esperienza del nostro limite, della nostra fragilità, delle nostre ferite. E’ qui che saremo ricolmi della tua pienezza.
L’espressione umile e luminosa che apre i vers.14-15 concentra tutta la nostra attenzione sulla persona e l’opera del Padre, e ci colloca con forza nella dimensione universale della sua paternità. Mi sembra meraviglioso poter pensare che, in ogni modo, ogni “paternità” nei cieli e sulla terra porta il riflesso della sua paternità, e ne è in qualche modo presenza e partecipazione. La cosa poi è ancora più ricca di come potrebbe apparire alla nostra immediata lettura, perchè il termine reso con “paternità”, presente solo tre volte nel Nuovo Testamento, non è, come in italiano, un termine astratto riferito ad una figura o ad una funzione paterna, ma è quello che piuttosto ne nasce e vi è legato: la famiglia, appunto, la stirpe, la tribù…Per noi, quindi è l’esperienza della paternità di Dio in quanto sperimentiamo l’esserne figli. E figli tutti insieme.
E’ questo, mi pare, che ci vuol dire il resto del nostro brano, a partire dal ver.16, dove Paolo chiede per noi nella preghiera la potenza dello Spirito Santo nel nostro uomo interiore, che significa la realtà profonda della nostra persona, il nostro “cuore”, come dice il ver.17. Penso che quando viene chiesto che “il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori”, non si dice una realtà, un dono o un evento diverso da quello del dono della presenza dllo Spirito Santo, ma si voglia precisare che lo Spirito Santo è la presenza di Cristo stesso nel cuore del credente.
L’esperienza interiore che la fede dona ad ogni discepolo di Gesù – il ver.18 parla esplicitamente di “tutti i santi”, cioè tutti i cristiani – è insieme esperienza di sapienza e di amore! “Fondati nella carità” dice il ver.17. “..in grado di comprendere..” dice il ver.18. E ancora, il ver.19 “..conoscere l’amore…”. Con estrema audacia il nostro testo proclama l’accesso alla suprema “esperienza di Dio”. Penso di radicale importanza che questa esperienza-conoscenza del mistero divino non venga descritta come un “perdersi” della persona nel “mare del divino”, ma se mai il contrario: il dono dello Spirito Santo è divina illuminazione dell’umile persona del credente, e non il suo annientamento. La fede cioè esalta e illumina la modesta realtà di ognuno di noi. Mostra come anche il più piccolo e il più povero tra noi possa essere luogo eletto da Dio come sua dimora e come fonte della sua rivelazione.
Per questo l’Apostolo sembra compiacersi di accostare e intrecciare la concreta esperienza di conoscenza e di amore che il cristiano riceve in dono, con le misure infinite del mistero di Dio – “l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza, la profondità” – e quindi la conoscenza dell’ “amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza”, sino a sperimentare in noi stessi “tutta la pienezza di Dio”. Non spaventiamoci di queste espressioni “troppo” forti, perchè con esse si viene in contatto non attraverso ipotetici livelli di “perfezione”, ma solo nella comunione al nostro umile Signore, crocifisso, e glorificato dal Padre.
“Spirito Santo,
che procedi dal Padre
e dal Figlio,
tu sei in noi,
parli in noi,
preghi in noi,
operi in noi.
Fai spazio alle tue parole,
alla tua preghiera,
alla tua intelligenza in noi,
perché possiamo conoscere
la volontà di Dio
in noi e nella storia.”
Carlo Maria Martini