1 All’angelo della Chiesa che è a Èfeso scrivi:
“Così parla Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro. 2 Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua perseveranza, per cui non puoi sopportare i cattivi. Hai messo alla prova quelli che si dicono apostoli e non lo sono, e li hai trovati bugiardi. 3 Sei perseverante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti. 4 Ho però da rimproverarti di avere abbandonato il tuo primo amore. 5 Ricorda dunque da dove sei caduto, convèrtiti e compi le opere di prima. Se invece non ti convertirai, verrò da te e toglierò il tuo candelabro dal suo posto. 6 Tuttavia hai questo di buono: tu detesti le opere dei nicolaìti, che anch’io detesto. 7 Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Al vincitore darò da mangiare dall’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio”.
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Il soggetto che parla e che chiede a Giovanni di scrivere è il Signore Gesù. Dico questo per ricordare che quando ascoltiamo o proclamiamo la parola di Dio, il “soggetto” che parla è sempre Gesù! Qui in ogni modo lo è esplicitamente per la continuità del discorso con quello che abbiamo ascoltato al cap.1. E’ un verbo di “forte” significato e intensità quello che in italiano è reso con “tiene” (ver.1). Dunque, Egli tiene le sette chiese (sono le stelle) e cammina in mezzo a loro (qui l’immagine delle chiese è quella dei candelabri d’oro).
Sono densi di significato i tre termini del ver.2: le tue opere, la tua fatica e la tua perseveranza. Sono fortemente significativi dello stesso Gesù e delle sue opere, che hanno nella “fatica” della sua passione, e in quella sua potenza nel portare “sostenendo”, la loro ikona suprema nella Croce della sua Pasqua. Dunque un grande riconoscimento e una grande lode verso questa chiesa. Nel commento precedente ho tentato di accennare a questa “relazione” tra la storia che viviamo sulla terra, e l’ “immagine” che di essa è nei cieli, cioè nel pensiero e nel giudizio di Dio. Ne parlavamo commentando Ap.1,20, dove questo è espresso con il termine “mistero”, reso in italiano con l’espressione abbastanza significativa di “il senso nascosto”. Com’è per il cielo, cioè per Dio, quello che noi siamo e viviamo qui sulla terra? Questo è il giudizio di Dio, ed è il contenuto essenziale dell’Apocalisse, questo Libro che ha per titolo “Rivelazione”, perché è appunto la rivelazione di come Dio vede tutto quello che qui accade. Spero di non tediarvi e affaticarvi troppo con i miei balbettii.
Il ver.3 riprende la lode per la “perseveranza”, pazienza e potenza di portare-sopportare la grande “fatica” della testimonianza cristiana: “per il mio nome”, è un’espressione molto bella per indicare la testimonianza fedele.
Ecco ora, accanto ai dati più positivi della Chiesa di Efeso, quello che il Signore Gesù le rimprovera al ver.4: “Ho però da rimproverarti di avere abbandonato il tuo primo amore”! L’espressione non indica l’abbandono di una persona amata, ma la caduta d’intensità di quel “primo amore”: “Ricorda dunque da dove sei caduto”! Una grande intensità che si è attenuata e impallidita. Ricorda com’eri una volta! Convertiti e compi le opere di prima: alla lettera: ”compi le prime opere”, forse non opere diverse, ma ora vissute senza quella potente intensità del “primo amore”. Notiamo come bisogna convertirsi “al prima, alle opere prime”. Così il ver.5, che arriva a minacciare una destituzione, forse da quel “primato” che la Chiesa di Efeso ha nei confronti delle altre Chiese. Al ver.6, un ulteriore riconoscimento: la denuncia delle opere dei “nicolaiti”. Le note delle Bibbie tendono a ritenere che fossero pratiche magiche che affascinavano i cittadini di Efeso.
Il ver.7 conclude solennemente la parola rivolta a Efeso e al suo Angelo (forse la chiesa stessa nella sua rappresentazione in cielo, o forse i suoi rappresentanti, o forse il suo vescovo). L’albero della vita è quello che è nel Paradiso di Dio descritto da Genesi 1-3, e che la tradizione cristiana accosta all’ “albero” della Croce, e al Cristo del Signore che ne è il frutto.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Non serve l’attaccamento ferreo alla vera dottrina, alla ortodossia, se è freddo, scarso l’amore. Come il Signore Gesù ci ama con amore sponsale, così dovremmo amarlo con l’ardore, il fervore che caratterizzano gli innamorati e gli sposi. – Qualunque sia la nostra risposta, egli “cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro”, cammina in mezzo a noi e con noi e sa bene, conosce bene le nostre fatiche, le nostre debolezze. Non desidera altro che introdurci nel giardino del suo paradiso, dove troneggia – come ricorda don Giovanni – l’albero della croce con i suoi mirabili frutti.
Colpisce a segno il rimprovero per aver abbandonato il primo amore.
L’ho molto legato al commento dei discepoli di Emmaus che incontreremo domenica.
‘Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?’
Gesù che cammina con noi,che parla attraverso le Scritture,che spezza il pane,che scalda il cuore lungo la strada..
E’ questo il primo amore a cui occorre tornare?
Il meraviglioso orizzonte del cristiano?