…le confesso che non avevo prestato attenzione al fatto che la parola povertà fosse più presente sui giornali e sulle labbra della gente. Poi, come all’improvviso, ad uno dei miei figli è venuto a mancare un lavoro umile e onesto che gli ha sempre permesso di mantenere la sua famiglia con dignità, sostenuto anche dal lavoro della moglie. Adesso la parola povertà l’abbiamo in casa, e io, ormai troppo anziano, mi sento impotente e sconfortato… Una lettera – molto bella – firmata.
Mi sembra di capire il suo dramma, caro amico. A me il termine è più consueto perchè il mio ministero di prete mi porta accanto ogni giorno, da molti anni, la sofferenza dei poveri e il desiderio di prendere per mano le situazioni difficili e dolorose. Ricordo una sera di molto tempo fa, era il quattro marzo del 1978, quando con la gente della mia parrocchina di campagna ci siamo messi in chiesa per una preghiera che ci veniva suggerita dalla vicenda nella quale eravamo entrati senza volerlo e senza rendercene conto. Piano piano vedevamo crescere ogni giorno l’arrivo tra noi di fatiche, di ferite, di domande di aiuto, di lacrime sconsolate, per la povertà che in tanti modi visitava le persone. Situazioni che le portavano a chiedere alla nostra piccola comunità un aiuto e un segno di speranza. In quella preghiera preferimmo dire al Signore che non ci sentivamo portati, nè attratti da questa vicenda che aumentava in modo preoccupante, ma che avremmo comunque accolto la provocazione come disposta da Lui per il nostro bene. Così è stato. Da quella sera di più di trent’anni fa sino ad oggi, la fila dei poveri, per tanti motivi, si è ingrossata. Tanti di loro, soprattutto bambini, sono diventati figli delle nostre case. Questa storia ha portato noi stessi, in qualche modo, "dalla loro parte". Non certo perchè abbiamo avuto difficoltà gravi, ma perchè la loro fatica e la loro speranza sono diventate sempre più la fatica e la speranza della nostra vita. Mi commuove oggi la sua lettera con la profondità della sua partecipazione paterna alla fatica di suo figlio. Anche per me e per noi è successo un po’ così. Molte volte non siamo stati capaci di portare aiuti concreti e sostanziali a chi ce li chiedeva. Ma abbiamo imparato, almeno un po’, a "stare accanto", a faticare e sperare insieme. Adesso sono impressionato e preoccupato per come la crisi generale porti a casa nostra quotidiane esplosioni di una povertà non prevista e non sopportabile. Anche perchè, come lei mi fa ben capire, il dramma non è solo quello del concreto stato di difficoltà, ma anche , e spesso soprattutto, l’angoscia che nasce in una vita improvvisamente inoperosa, e sgomenta davanti ad un futuro che sembra senza prospettive. Per questo ricordavo l’importanza dello "stare accanto", per condividere la fatica e promuovere qualche piccola luce di speranza. I due soldi che possono esserci in banca come risparmi di anni, sono oggi pericolosamente esposti a sfumare. Mi piacerebbe usarli per "inventare" qualche lavoro anche molto semplice, che non risolverebbe di certo il problema generale, ma forse potrebbe custodire nelle menti e nei cuori un lumino di speranza. A qualche candidato sindaco dell’una e dell’altra parte che mi è venuto a trovare, ne ho parlato. Ma penso che sarà alla fine ciascuno di noi a dover cercare qualche piccola strada. E qui intervengono problemi di legalità e di fattibilità. Un vecchio prete come me non può che sperare in qualche importante sostegno di esperienza e di competenza. Se crede, teniamoci in contatto. Sperare insieme aiuta a continuare a sperare. Con amicizia. d.Giovanni.