57 Venuta la sera, giunse un uomo ricco, di Arimatea, chiamato Giuseppe; anche lui era diventato discepolo di Gesù. 58 Questi si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato allora ordinò che gli fosse consegnato. 59 Giuseppe prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito 60 e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia; rotolata poi una grande pietra all’entrata del sepolcro, se ne andò. 61 Lì, sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Màgdala e l’altra Maria.
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Gesù, ucciso dai pagani, viene oggi riconsegnato al popolo ebraico, nella persona di questo Giuseppe di Arimatea. Il testo vuole sottolineare la “novità” di questo: il sepolcro è “nuovo”; e “in esso nessuno era stato ancora sepolto”, come precisa un altro evangelo. È come quel puledro “nuovo” di cui Gesù ha bisogno per entrare in Gerusalemme come Messia, sul quale nessuno mai era salito. E ripercorrendo a ritroso la storia di Gesù si arriva fino alla sua incarnazione e nascita da Maria,“in modo nuovo”.
L’incontro di Giuseppe con il corpo di Gesù, in questo giorno che è ormai verso il sabato – sposa di Israele – ha il tono della nuzialità, Fatto acentuato dalla attesa amorosa delle donne, che “siedono” presso il sepolcro, in adorante speranza della “novità” che il Signore porterà nel “primo giorno della settimana”.
Giuseppe viene presso la croce di Gesù e compie una liturgia fatta di tanti atti molto precisi, in silenzio amoroso verso il corpo morto di Gesù. “Viene”, “va da Pilato”, “chiede il corpo”, “lo avvolge mel lenzuolo”, “lo depone nella tomba”, e “se ne va”. È una liturgia compiuta per amore, che segnala l’attesa di un’altra liturgia. Siamo ormai alla sera di questo giorno iniziato al cap. 27 con la condanna di Gesù. E si attende ormai di passare al cap. 28, all’ “alba del primo giorno della settimana”. Si attende qualche cosa, che sarà poi la rivelazione grande della novità assoluta della resurrezione.
Le azioni di Giuseppe ci riportano al dono dell’olio versato per amore sul capo di Gesù da quella donna al cap. 26, “in vista della mia sepoltura”, commentava Gesù. Oggi il corpo del Dio vivente viene deposto per amore da Giuseppe in un sepolcro in attesa della ressurezione. E intanto, fuori dal sepolcro, là “sedute” altre donne esprimono la amorosa attesa, piena di speranza, del giorno nuovo.
Dunque oggi il servizio liturgico di Giuseppe, fatto di tanti gesti, ha una sua completezza. Accanto a lui, c’è la presenza delle donne. Esse siedono, e sembrano non fare altro che attendere. Tutti sono convocati per amore intorno al corpo di Gesù, e non è forse fuori luogo cogliere in queste presenze complementari una somiglianza con i modi in cui le due sorelle, Marta e Maria, accolsero Gesù in casa loro. Da una parte c’è questa “liturgia completa” compita da Giuseppe; e vicino a lui questo “non fare” delle donne, che segnala una attesa.
Di Giuseppe si dice che era un uomo ricco, che veniva da Arimatea, città che dista quasi 50 km da Gerusalemme, e che aveva costruito per se un sepolcro presso la Città santa. Lui, pur essendo dunque in qualche modo “straniero” a Gerusalemme, aveva posto un segnale della sua speranza nella città che Dio ha scelto. Si può forse ricordare come anche un altro “straniero”, Abramo, possedesse della terra promessa, come caparra della sua eredità, niente più che un sepolcro “per il suo morto”. Gesù posto in questo sepolcro, proprietà di un ebreo “straniero”, si rivela il compimento della promessa di vita fatta da Dio ad Abramo, di ricevere una discendenza numerosa più delle stelle del cielo.
Avverto l’opportunità di dare grande attenzione all’episodio della sepoltura del Signore dove si sottolinea, sia nel nostro testo, sia nei testi paralleli degli altri Evangelisti, la rilevanza della tradizione ebraica cui Gesù appartiene. La persona stessa di Giuseppe, che congiunge nella sua persona sia la sua piena adesione a Gesù, sia la sua “ebraicità”, tende a sottolineare l’appartenenza di Gesù al suo popolo.
In questo orizzonte mi sembra molto forte anche la “restituzione” del corpo di Gesù da parte di Pilato, cioè da parte di quella “paganità” cui Gesù è stato consegnato per essere crocifisso, paganità alla quale Israele consegna il Salvatore del mondo. Ora la sua appartenenza umana, spirituale , culturale….tutto viene raccolto nella sua “ebraicità”. E’ molto delicato e profondo anche il particolare di questo “sepolcro” che culturalmente appartiene del tutto alla tradizione ebraica, e che peraltro è “nuovo”.
Tutto questo mi sembra molto importante. Da alcuni anni infatti sta crescendo in me una domanda grande e delicata, davanti alla quale, ovviamente, mi sento del tutto inadeguato. Mi sembra infatti che in tempi brevissimi l’evento della salvezza universale di Gesù Cristo sia stato immerso nella grande tradizione del pensiero greco. Operazione culturalmente felicissima, che ha dato all’elaborazione del pensiero cristiano frutti straordinari di pensiero teologico. Però, dopo tanti secoli, e nella fatica attuale che è anche, senza dubbio, una fatica del pensiero, non mi sembra inopportuno farsi qualche domanda. E questo anche perchè la grande tradizione spirituale ebraica non era priva di pensiero. Al contrario! Ed è facile ormai accorgersi anche di molte “discordanze” tra quella concezione di pensiero e la grande filosofia classica. E si può osare anche di più! Anche nei confronti del nostro tempo, dei suoi drammi e delle sue fatiche, nei quali la comunità ecclesiale è profondamente immersa, ci si potrebbe domandare, almeno qualche volta, se gli antichi miti del pensiero semitico non potrebbero offrire spunti, attenzioni e sorprese nei confronti di tanti drammi del nostro tempo, e di tante domande cui non sempre è facile dare risposta.
A questi pensieri dedico oggi la sepoltura di Gesù che ci ricorda come l’intera esperienza umana del nostro Signore sia sia tutta svolta e compiuta nell’orizzonte spirituale e culturale dei suoi padri.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.