Caro don Giovanni, quando vent’anni fa mio marito ci ha lasciati dopo una malattia lunga e dolorosa, mi sembrava di essere ancora molto giovane. Tirar su i miei cinque marmotti ha fatto presto a consumarmi. Sarebbe ingiusto lamentarsi: bravi bambini, bravi ragazzi: tre femmine e due maschi. Ma questi due vedevo che qualche problema l’avevano. E ho cominciato a temere quello che poi è successo. Uno dei miei figli ha mostrata sempre di più una ferita e una debolezza psicologica abbastanza grave, e l’altro, forse anche per la prova di questo suo fratello, ha faticato e continua a faticare nel trovare la strada buona della sua vita. Le tre figlie si sono sposate e sono spose e mamme buone e contente. Solo io, per la mia poca fede, cado spesso nella tristezza come se Dio con me fosse stato un po’ avaro. Conosco tante vicende più povere e più dolorose della mia. Perchè non accetto tutto con più serenità?

E così, adesso, in casa ci siete voi tre. Voi tre in questa domenica, l’ultima dell’anno liturgico, dove l’Evangelista Luca ci porta al Calvario. Anche là sono in tre.

Oggi, cara mamma, mi sento incaricato di dirle che è la sua festa. La festa della sua regalità. Sono vent’anni che il Figlio di Dio si consuma in lei, nella sua umile e quotidiana fatica, nel grande bene che ha regalato ai suoi figlioli. Non mi stupisce che lei possa essere così contenta delle sue figlie: che regalo hanno avuto e continuano ad avere nella loro mamma. Nella sua casa è entrato sempre più potentemente il regno di Dio, quello che il ladrone chiede oggi a Gesù.

Molte volte mi capita di osservare con commosso stupore come la divina bellezza dei gesti e delle parole della liturgia cristiana entri nelle nostre case, nella vita di tutti i giorni, e prolunghi nell’umiltà dei luoghi e dei tempi della nostra comune esistenza tutto lo splendore dell’amore di Dio. E adesso, con lei, ci sono i due ragazzi: voi tre.

In questi giorni, cercando un po’ di preghiera verso la domenica mi sono fatto dei “viaggi”. Chi avrebbe voluto vicino a Sè il nostro caro Gesù nella sua ultima ora terrena? Sua Madre? Pietro o Giovanni? Lazzaro e le sue sorelle? Ma c’erano già delle prenotazioni diverse. E più delicate. Perchè questi due, chi li poteva prendere per mano? Anche lei, cara mamma, mi scrive che aveva previsto come andavano a finire le cose. I due più piccoli. I due più poveri.

Da ragazzo immaginavo il pomeriggio di quella giornata straordinaria. Finalmente in Paradiso: nel giardino di Dio. In modo un po’ irriverente vedevo Gesù e il suo amico, in un angolo dell’orto, come nella nostra casa di campagna, a giocare a bocce. Negli anni successivi lo scoutismo mi aveva portato in tante valli dell’Alto Adige, a conoscere più da vicino tante immagini dei due ladroni,e lì mi sono reso conto che uno guarda in alto perchè si pente e l’altro guarda in basso perchè resta arrabbiato.

Ma oggi, e anche lei me lo insegna, sono convinto che a giocare a bocce in paradiso fossero tutti e tre. Il terzo, un po’ imbranato nel giocare, come se ci vedesse meno bene: aveva gli occhi pieni di lacrime di meraviglia e di stupore perchè lui quella partita a bocce proprio non se la meritava. Buona Domenica. Con molto affetto. d.Giovanni.