1 Io, fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come a esseri spirituali, ma carnali, come a neonati in Cristo. 2 Vi ho dato da bere latte, non cibo solido, perché non ne eravate ancora capaci. E neanche ora lo siete, 3 perché siete ancora carnali. Dal momento che vi sono tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi comportate in maniera umana?
4 Quando uno dice: «Io sono di Paolo», e un altro: «Io sono di Apollo», non vi dimostrate semplicemente uomini? 5 Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso. 6 Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. 7 Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere. 8 Chi pianta e chi irriga sono una medesima cosa: ciascuno riceverà la propria ricompensa secondo il proprio lavoro. 9 Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio.
Seleziona Pagina
Mi sembra importante considerare il giudizio globale che scaturisce dalle parole dell’Apostolo: le divisioni, le invidie e le discordie sono segno dell’immaturità della fede (ver.3). Questo bisogna sottolinearlo perché spesso, come nella Chiesa di Corinto, tali problemi vengono vissuti con atteggiamenti di superiorità, dove ciascuno pretende di aver colto la sostanza della fede. Invece essi rivelano l’immaturità e quindi la fragilità delle persone: “esseri carnali … neonati in Cristo” (ver.1).
In tal modo, e dopo la grande dissertazione sulla sapienza della Croce, Paolo ritorna al problema da lui evidenziato fin dall’inizio della Lettera in 1Co.1,10-17. Da una parte dunque, i Corinti sono stati arricchiti dai grandi doni dello Spirito, ma dall’altra sono rimasti infantili e immaturi, “come neonati in Cristo”. E tali sono rimasti pur avendo ricevuto tante grazie, come possiamo ripercorrere in 1Co.1,4-9.
La realtà negativa delle loro divisioni viene messa in evidenza dal confronto con la comunione che caratterizza la persona e l’opera di quegli stessi, come Apollo e Paolo, “servitori attraverso i quali siete venuti alla fede”. Ognuno di loro ha operato secondo il proprio compito, concordi nel servire nei loro fratelli l’opera stessa di Dio: “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere” (ver.6). E questo con una precisazione: “Né chi pianta né chi irriga vale qualcosa (alla lettera, “è qualcosa”), ma solo Dio, che fa crescere” (ver.7). I Corinti hanno stravolto la varietà concorde dei doni e dei diversi ministeri facendone principio e giustificazione delle loro divisioni. Invece, dice Paolo, “Chi pianta e chi irriga sono una medesima cosa, e ciascuno riceverà la propria ricompensa secondo il proprio lavoro” (ver.8). Essi sono infatti dei “collaboratori”: di Dio e tra di loro. Il frutto del loro lavoro non li fa possessori dei fratelli che hanno servito, perché il loro servizio non è stato fatto in riferimento a loro stessi, ma è stato convergente verso il Signore Dio. Essi dicono ai Corinti: “Voi siete campo di Dio, edificio di Dio”. Essi non sono e non vogliono essere possessori dei fratelli che hanno servito.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Ritenevano i rabbini (così ho sentito dire) che l’opera di Dio si fosse conclusa con la creazione. Gesù non la pensa nello stesso modo: più volte accenna al fatto che il Padre suo opera, continua a creare e alimentare i prodigi della vita e della salvezza. Nei versetti odierni tale opera è descritta con la efficace immagine dell’agricoltura: Paolo ha seminato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che fa crescere. In questa opera dunque anche noi abbiamo un compito, una parte da svolgere, pur essendo “nulla”. E’ una grande valorizzazione della nostra piccola vita; siamo collaboratori di Dio, chiamati ad aver parte ad una azione, ad una costruzione, che va ben al di là dei nostri limiti di tempo, di spazio, di vedute….