fine-vitaGiovanni Nicolini
Dalla rubrica IL TESORO NEL CAMPO su “Jesus” di Ottbre 2013.

Un tesoro molto umile quanto prezioso. Un tesoro che ho scoperto pian piano, in un lungo arco di tempo. Un tesoro che colpevolmente ho scoperto tardi, e verso il quale voglio dedicare parti non piccole del mio cuore, della mia preghiera, della mia mente e del mio tempo. È quel grande tesoro che nasce e fiorisce nelle persone quando si avvicinano all’ultimo passo, quello che li accoglie nell’ultima Pasqua in questo mondo. Un malato alla fine, chi è? Un povero. Non gli si chiede ormai quasi niente, e piuttosto si dispone tutto per lui, a fin di bene, s’intende, ma come fosse un bambino. E quindi lo si interroga poco, e pochissimo lo si ascolta. Ecco, è stato ascoltando qualcuno, e anche parecchi, che il “tesoro” si è aperto e svelato alla mia mente tardiva e al mio cuore distratto. Quando una persona, al di là delle informazioni tecniche che gli danno sulla sua condizione clinica, comprende nel profondo, un profondo talvolta più profondo di ogni consapevolezza mentale, di essere verso “la soglia”, allora egli arriva al livello supremo della sua esistenza e della comprensione della sua stessa vita. Allora si mette in viaggio a ripercorrere l’arco della sua esistenza. Allora si fanno chiari ricordi sepolti e volti scomparsi. Allora riemergono potenti sia le relazioni preziose, sia i tradimenti inflitti e subiti. Allora si avverte nel profondo il reale spessore del bene ricevuto e del male commesso. È il momento in cui ci si chiede quale sia stato il senso della vita. Questo viaggio non è riservato a particolari condizioni. Non è legato alla fede o all’incredulità, alla pace del cuore o al turbamento dell’animo. Vedo con crescente chiarezza che è il viaggio di ciascuno e di tutti. E’ per questo il tempo più delicato e più ricco dell’intera esistenza. Resisto all’obiezione che molto spesso si tratta di fasi segnate da incoscienza e da paura. C’è tutto questo, ma anch’esso viene coinvolto nel grande orizzonte dell’intera vita. Quando qualcuno commenta la situazione dicendomi “non badarci” sento grande ribellione insieme a conferma che proprio lì, quando la porta piano piano si apre verso il grande mistero, scommessa drammatica e inevitabile sul nulla o sul tutto che aspetta dietro quella porta, lì tutta la vita si raccoglie, come mai era avvenuto prima. Lì la persona, al di là di ogni apparenza, è nel pieno di sé. Non mi ha stupito che qualche esperto clinico mi dicesse che sempre più si verifica scientificamente che non ci sono, ad esempio, diversi ammalati della stessa malattia, ma che la malattia è di ognuno, e la malattia non è la stessa nell’uno e nell’altro anche se porta lo stesso nome. Questo è importante perché aggiunge significato alla necessità di fare un grande passaggio, per subordinare alla cura della malattia la cura del malato. Fino all’ipotesi estrema di non curare, ma di prendersi cura. Allora veramente si può sperare in un percorso altrimenti esposto a una grande disumanizzazione . Un percorso che invece possa portare fino ad un gioioso congedo, e, per alcuni almeno, ad un affettuoso arrivederci.