1,1 Paolo, apostolo di Cristo Gesù, per comando di Dio nostro salvatore e di Cristo Gesù nostra speranza, 2 a Timòteo, mio vero figlio nella fede: grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro.
3 Partendo per la Macedonia, ti raccomandai di rimanere in Efeso, perché tu invitassi alcuni a non insegnare dottrine diverse 4 e a non badare più a favole e a genealogie interminabili, che servono più a vane discussioni che al disegno divino manifestato nella fede. 5 Il fine di questo richiamo è però la carità, che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. 6 Proprio deviando da questa linea, alcuni si sono volti a fatue verbosità, 7 pretendendo di essere dottori della legge mentre non capiscono né quello che dicono, né alcuna di quelle cose che dànno per sicure.
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Iniziamo il nostro cammino lungo questa lettera ricordando un dato e un criterio di ascolto e interpretazione della Scrittura forse non privo di importanza. Troveremo qui, ma di fatto lo si incontra dappertutto, che la Parola che ascoltiamo è sempre, ovviamente, una Parola detta nella storia, nel concreto della vicenda umana. Questo potrebbe portarci a “isolare” quanto viene affermato, in quanto appunto legato a particolarità di tempi, di luoghi e di circostanze. Consideriamo invece con molta attenzione che quando un avvenimento o un insegnamento particolare viene assunto come “Parola di Dio”, e quindi entra nella Scrittura, è bene coglierlo, sia nella concretezza del suo significato immediato, sia nella portata universale della sua importanza. Mi sembra sempre, e sempre di più, una pericolosa superficialità “liquidare” un’affermazione della Scrittura come un puro dato relativo ai tempi e ai luoghi in cui è stata detta e data. Io ascolto “oggi”, e il mio oggi diventa, nella Parola e nello Spirito, quel “oggi di Dio”, nel quale con perfetta attualità io ricevo e desidero accogliere pienamente, quella particolare Parola, che viene a visitarmi e a visitarci con tutto lo spessore della sua verità e potenza.
Circa il saluto di Paolo a Timoteo dei vers.1-2, mi sembra importante sottolineare l’origine del ministero apostolico di Paolo, perchè nel seguito del capitolo l’elemento autobiografico sarà presente in modo molto forte. E mi sembra opportuno che prestiamo attenzione alle tre parole che descrivono il mistero della vita cristiana: la grazia, la misericordia e la pace. La grazia ci ricorda che tutto nasce dal dono di Dio, nulla è promosso dall’uomo, nulla è meritato e conquistato, ma, appunto tutto è grazia. La misericordia sottolinea, come sarà ripreso anche in seguito, l’opera di salvezza operata da Dio per ciascuno e per tutti, perchè tutti abbiamo bisogno di essere salvati. La pace è il termine forte della comunione d’amore che Dio in tal modo stabilisce con i suoi figli e con ciascuno di loro.
Paolo ha lasciato ad Efeso questo suo figlio spirituale con un compito di vigilanza-custodia-correzione, espresso in italiano al ver.3 con il verbo “invitare”, e al ver.5 con il sostantivo “richiamo”. Si tratta di un termine che sia come verbo sia come sostantivo dice una raccomandazione, e appunto una correzione necessaria. Il motivo di tale azione sembra essere il rischio di aggiunte devianti rispetto alla strada indicata e definita dall’insegnamento dell’apostolo. Siamo sempre in questo rischio, che potremmo chiamare smarrimento dell’analogia della fede, termine che dice la completezza di un insegnamento e di una via sapienziale, ma anche l’ordine, cioè la gerarchia d’importanza, e quindi la purezza e la semplicità intellettuale, morale e spirituale del cammino della fede, sia a livello personale sia per la comunità nel suo insieme. E’ quello che in italiano è espresso con l’affermazione del ver.4:”il disegno divino manifestato nella fede”.
Dell’assunzione di tale disegno e della sua reale presenza nel cuore delle persone, c’è un frutto e una manifestazione probante: la carità! Quando Paolo descrive la fonte interiore della carità, usa tre espressioni che potremmo chiederci se sono parallele a quelle che all’inizio egli ha rivolto e augurato a Timoteo: grazia, misericordia e pace (ver.2). Tale triplice fonte viene qui indicata con tre espressioni: cuore puro, buona coscienza, fede sincera. Vedete voi se si può stabilire un legittimo parallelo con le tre espressioni di augurio del ver.2.
Ci sono nella comunità dei cattivi maestri che sembrano essersi anche attribuiti illeggitimamente questo compito, e che insegnano teorie e dottrine devianti rispetto al semplice cammino consegnato dall’annuncio apostolico. Queste dottrine false sono qualificate molto severamente ai vers.3-4 e 6-7.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Timoteo viene detto “mio vero figlio nella fede”. Cercando tra i passi paralleli indicati nella Bibbia si nota la grande stima e il grande affetto che legava Paolo e Timoteo. Nella lettera ai Filippesi 2,20 Paolo dice “voi conoscete la buona prova da lui data, poiché ha servito il vangelo con me, come un figlio serve il padre”.
Forse è proprio per questo che Paolo gli chiede compiti importanti e difficili, come richiamare alcuni che si credono dottori della legge alla “carità che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera”.
Siamo illuminati dalla gioia di Pasqua e continuiamo a godere del dono della carità in noi e nei nostri fratelli!
Paolo è apostolo per comando di Dio. Il termine “comando”, è usato altrove per indicare la potestà di Dio su tutte le creature (spiriti, vento…). Anche l’apostolato di Paolo ha la sua origine da questa potestà di Dio; è quindi innanzitutto un atto di obbedienza ad essa, anche se questa poi implica una adesione di Paolo, come si deduce da altri testi delle lettere.
Quando Paolo dice che il fine di questo richiamo è la carità, si può intendere che da una parte è quanto Timoteo deve ricordare essere il nucleo centrale a quelli che hanno deviato, e al tempo stesso un ricordo a Timoteo medesimo sul come e sul perchè deve fare questo richiamo.
Si dice che i miti e le genealogie sono senza termine; invece il richiamo ha un fine, la carità. Questo evidenzia la grande differenza tra quanto ruota continuamente su se stesso, senza mai indirizzarsi a qualcosa d’altro, e tra quanto invece ha un fine che è altro da sè. La legge può essere interpretata e vissuta nel primo modo, oppure, come la Scrittura stessa indica, essere in prospettiva di un/una fine: “termine della legge è Cristo” (Rm 10,4); cfr anche Rm 13,10 “pieno compimento della legge è l’amore”.
Si possono notare delle assonanze tra la lettera e il vangelo: l’interpretazione dei farisei del divorzio è assoluta; invece l’interpretazione di Gesù lo relativizza alla durezza di cuore, è lo subordina al disegno originario di Dio che allo stesso tempo ne è il termine, laddove l’economia della durezza di cuore e della legge, deve lasciare il posto all’economia della grazia e dell’amore.