7 La fine di tutte le cose è vicina. Siate dunque moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera. 8 Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati. 9 Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare. 10 Ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio. 11 Chi parla, lo faccia con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l’energia ricevuta da Dio, perché in tutto sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen!
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Il brano precedente esaltava “il tempo nuovo”, in contrasto con il tempo vissuto nel male. Oggi la Parola del Signore esalta la dimensione “finale” di questo tempo nuovo di questo tempo “pasquale” inaugurato dalla Pasqua di Gesù: Tutto giunge “alla fine”, perché tutto giunge “al fine”, cioè alla pienezza. Il nostro brano mette in evidenza tre elementi portanti di questo tempo finale: la preghiera (ver.7); la carità (vers.8-9) e la comunione di vita (vers.10-11).
Il primato della preghiera afferma con poche parole la realtà profonda della presenza del Signore tra noi, e pone quindi la preghiera come la celebrazione di tale presenza, e con ciascuno di noi e con noi tutti insieme.
Citando il testo del Libro dei Proverbi 10,12, il ver.8 esalta la carità come potenza sanante la condizione di noi peccatori. Voglio sottolineare questo, ben sapendo come, a partire da me, il peso dei peccati possa pericolosamente paralizzare la nostra vita, pur visitata dalla misericordia divina. Niente come una carità umile e operosa, contrastando il male commesso, ci consente di respirare l’aria nuova del dono di Dio. Dunque è proprio vero che “la carità copre una moltitudine di peccati”, proprio come al contrario “l’odio suscita litigi”, come dice quello stesso versetto dei Proverbi. Segno splendido della carità è questo “amore per l’altro, per il diverso, per lo straniero”, che è la bellezza di poter trasformare l’estraneo, persino il nemico, in fratello! E questo, “senza mormorare”!
Infine, la presenza del Signore tra di noi, come celebrazione e comunicazione-comunione dei doni che ciascuno ha ricevuto: “ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri”. Alla lettera, il testo dice: “Come ognuno ha ricevuto un dono, servitevi gli uni gli altri”. I doni di Dio, infatti, non sono nostra proprietà. Noi dobbiamo essere semplicemente “i buoni amministratori della grazia di Dio”, cioè di tutto il bene che il Signore ha voluto mettere nella nostra piccola vita e nelle nostre povere persone. E quindi è sempre il Signore che celebriamo: le parole siano la sua stessa Parola (!), e sia Lui la forza e la potenza di ogni nostro compito e servizio. Se faremo così, ogni nostra azione e magari la nostra stessa vita consentiranno che anche in noi “sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo” che di Dio è la suprema rivelazione e la fonte di ogni suo bene.
Mi permetto di sottolineare ancora una volta la meraviglia di questa Lettera, nella quale la nostra stessa ”vita morale” è presentata come bellezza della vita più che come dovere.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.