5 Per questo ti ho lasciato a Creta: perché tu metta ordine in quello che rimane da fare e stabilisca alcuni presbìteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato. 6 Ognuno di loro sia irreprensibile, marito di una sola donna e abbia figli credenti, non accusabili di vita dissoluta o indisciplinati. 7 Il vescovo infatti, come amministratore di Dio, deve essere irreprensibile: non arrogante, non collerico, non dedito al vino, non violento, non avido di guadagni disonesti, 8 ma ospitale, amante del bene, assennato, giusto, santo, padrone di sé, 9 fedele alla Parola, degna di fede, che gli è stata insegnata, perché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina e di confutare i suoi oppositori.

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Come nelle memorie evangeliche Gesù dopo aver annunciato il Regno si mette in cammino verso altre comunità umane che aspettano la salvezza (per es.Luca 4,42-44), così Paolo getta il seme evangelico per poi continuare il suo viaggio apostolico. Questo ci avverte di come sia molto importante e delicato il compito di stabilire persone che possano guidare la comunità appena costituita perchè sia conservato il dono di Dio.
Non è facile cogliere in modo preciso la differenza tra i “presbiteri” del ver.5, e il “vescovo” del ver.7. Nel confronto con altri testi delle epistole i due termini vengono scambiati tra loro. Potrebbe qui essere il “vescovo” il capo-coordinatore di un “collegio”.
Le caratteristiche umane e spirituali di chi deve presiedere la vita della chiesa sembrano delineare un cristiano maturo, di buona vita e condividente la stessa esistenza dei suoi fratelli in modo di poterne essere un esempio. Questo esige che egli non sia prigioniero di una personalità difficile e di abitudini negative, e sia ricco di virtù cristiane e di conoscenza del Signore, in modo da poter “esortare con la sua sana dottrina e confutare i suoi oppositori”(ver.9). E’ sottolineata l’importanza esemplare della sua condizione di sposo e di padre.
Non voglio tirare la corda verso conclusioni estreme, ma mi sembra si possa dire che questo ministro deve essere modello della vita di tutti i suoi fratelli. Non troppo “diverso” da loro. Uno di loro.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Tito resta a Creta con un incarico preciso ricevuto da Paolo: “perché regolassi ciò che rimane da fare e perché stabilissi presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato” (v.5): deve sistemare le cose che fossero ancora incomplete. Le fondamenta sono già state poste, e lo abbiamo visto nei primi 4 vv.: la promessa di Dio, che ha deciso prima dei secoli; e la predicazione degli apostoli, che rivela il compimento di queste promesse in Cristo Gesù.
La “sana” dottrina (v.9) è quella che deriva da queste fondamenta, dalle parole “pure e sane” del Signore e degli apostoli che predicano la Buona Novella. Questi preposti alle comunità (presbiteri, v.5; “vescovi”, v.7) sono “amministratori di Dio” e come tali devono essere fedelmente “attaccati” a questa “sana dottrina” (v.9), con un insegnamento fedele e una dottrina che non sarà la propria ma che trasmetterà ai fratelli la pura parola di Dio. “Attaccati” e affezionati a questa dottrina, come chi la ama sinceramente: “Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’ uno e amerà l’ altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’ altro. Non potete servire a Dio e a mammona” (Lc 16:13).
E la parola del Signore è “sana” perché è anche capace di sanare, di guarire, come vediamo molte volte nel vangelo e come il centurione afferma con fede: “Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito.” (Mt 8:8).
Tutte queste qualità che Paolo enumera per descrivere come deve essere chi viene preposto alla guida dei fratelli, sono tutti attributi riconducibili al dono della sapienza che viene dall’alto dal padre delle luci (“La sapienza che viene dall’alto invece è anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia” Giac 3:17) e che si può ottenere per mezzo della preghiera (“Se qualcuno di voi manca di sapienza, la domandi a Dio, che dona a tutti generosamente e senza rinfacciare, e gli sarà data” Giac 1:5). Perciò il “vescovo” è tenuto ad essere prima di tutto un uomo di preghiera; poi c’è un impegno di tutta la comunità di sottomissione santa e di preghiera “per chi ci guida”.
a prima delle caratteristiche positive qui elencate per il vescovo è che sia “ospitale”, prima di tutto verso gli ospiti che vengono da lontano (geograficamente e spiritualmente), deve essere pronto ad accoglierli tutti. Ma poi anche, secondo quanto suggerisce 1 Pet 4:9 “Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare”, ospitalità e accoglienza verso tutti i suoi fratelli, i cristiani: essere sempre pronto ad accogliere ogni fratello nella condizione in cui si trova.
E ricordiamo anche Ebr 13:2 “Non dimenticate l’ ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo”.
Le altre caratteristiche elencate ai vv. 6-7 indicano l’esigenza di un cuore casto, capace di guardare e accogliere tutti “senza macchia”, “irreprensibili” come Gesù ci ha fatto, riconciliandoci a Dio: “ora egli vi ha riconciliati per mezzo della morte del suo corpo di carne, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili al suo cospetto” (Col 1:22).
Queste caratteristiche, che troviamo elencate anche nella 1Tim, ci fanno anche chiedere chi sia il vescovo, e se siano caratteristiche che si addicono solo a lui. Anche a noi, a tutti i cristiani infatti, come al “vescovo”, è stato affidato il mistero di Dio, e perciò anche a noi spetta comportarci secondo quello che viene detto qui. E’ importante non stancarsi degli uomini, non volere scappare via da loro: dice infatti: “ospitali”. E dice pure che “se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?” (1Tim 3:5), perciò si tratta di cominciare dalla propria casa: in questo le parole di oggi sono vere per tutti. Non vivere una vita “privata” ma essere consapevoli e accettare che si vive per tutti, con cuore ospitale e “senza ira e senza contese”.