10 Infelici anche coloro le cui speranze sono in cose morte e che chiamarono dèi le opere di mani d’uomo, oro e argento, lavorati con arte, e immagini di animali, oppure una pietra inutile, opera di mano antica. 11 Ecco un falegname: dopo aver segato un albero maneggevole, ha tagliato facilmente tutta la corteccia intorno e, avendolo lavorato abilmente, ha preparato un oggetto utile alle necessità della vita; 12 raccolti poi gli avanzi del suo lavoro, li consuma per prepararsi il cibo e saziarsi. 13 Quanto avanza ancora, buono proprio a nulla, legno contorto e pieno di nodi, lo prende e lo scolpisce per occupare il tempo libero; con l’abilità dei momenti di riposo gli dà una forma, lo fa simile a un’immagine umana 14 oppure a quella di un animale spregevole. Lo vernicia con minio, ne colora di rosso la superficie e ricopre con la vernice ogni sua macchia; 15 quindi, preparatagli una degna dimora, lo colloca sul muro, fissandolo con un chiodo. 16 Provvede perché non cada, ben sapendo che non è in grado di aiutarsi da sé; infatti è solo un’immagine e ha bisogno di aiuto. 17 Quando prega per i suoi beni, per le nozze e per i figli, non si vergogna di parlare a quell’oggetto inanimato, e per la sua salute invoca un essere debole, 18 per la sua vita prega una cosa morta, per un aiuto supplica un essere inetto, per il suo viaggio uno che non può usare i suoi piedi; 19 per un guadagno, un lavoro e un successo negli affari, chiede abilità a uno che è il più inabile con le mani.
Sapienza 13,10-19

E’ molto salutare anche per noi la severità ebraica nei confronti degli idoli e dell’idolatria. E’ molto facile “sconfinare” e “sacralizzare” ciò che non è santo. Faccio un piccolo esempio: anche certi “titoli”, come per esempio “Santità” (!), è bene usarli con molta cautela o magari neanche usarli, come mi pare stia accadendo. Nel nostro brano la severità diventa ironia pere non dire anche derisione. Mi sembra interessante anche la presenza di quell’ “infelici” al ver.10, che bene esprime non solo l’errore e la sterilità di ogni idolatria, ma anche il suo essere fonte di infelicità. E questo non perché non ci debbano essere nella vita di fede anche i sentimenti! Al contrario! Ma sono i sentimenti che la fede stessa genera e dona! Ad esempio, la gioia della carità e l’esultanza per la comunione fraterna, per il perdono, per il privilegio d’amore nei confronti dei piccoli e dei poveri …. Ribadiamo dunque anche noi oggi, che per la fede ebraica e cristiana l’idolatria è peccato drammatico! Meglio l’incredulità e l’ateismo che l’idolatria! Perché l’ateo è da solo ed è, per noi che gli vogliamo bene, un povero. Ma per lui non possiamo che desiderare il donno divino della fede! W ci rallegra che egli non compensi la solitudine della sua non-fede con inganni che alla fine sono anche pericolosi e dannosi! Ed ecco, ai vers.11-19, la figura drammaticamente caricaturale di quel falegname che conosce bene il suo lavoro e produce cose utili e necessarie. Ma poi, come per una fatale continuità, costruisce l’idolo! Il testo vuole evidentemente evidenziare l’assurdità del fatto. Ma i vers.17-19 ironizzano sulla “devozione” che nasce da ciò che quell’uomo si è costruito con le sue mani, e ina parte di “scarto” della sua arte e con uno “scarto” anche del materiale usato. Ma poi, come fatalmente, la necessità stessa di “provvedere” alla totale passività-inettitudine dell’oggetto, introduce attenzioni e gesti che diventano un’assurda “liturgia”.
Volentieri do man forte a Giovanni sull’esempio dei “titoli”. E’ un esempio illuminante, perché mette in evidenza come alcune parole di Gesù, dei Vangeli, non sono state prese sul serio: “Voi non fatevi chiamare padre…, non fatevi chiamare maestro…” E gli abiti? Quando si deciderà la nostra “gerarchia” a cambiare quell’abbigliamento che qualcuno ha (giustamente) definito carnevalesco? – Faccio un salto in dietro al versetto 3 di questo capitolo: Dio vi viene definito “principio e autore della bellezza”: è una qualità del Signore che consideriamo poco; la bellezza è un suo carattere e lo ha profuso abbondantemente nel creato, nell’uomo e – particolarmente – nella donna, prototipo di bellezza fisica e spirituale insieme…