1 Canto delle salite. Di Davide.
A te alzo i miei occhi,
a te che siedi nei cieli.
2 Ecco, come gli occhi dei servi
alla mano dei loro padroni,
come gli occhi di una schiava
alla mano della sua padrona,
così i nostri occhi al Signore nostro Dio,
finché abbia pietà di noi.
3 Pietà di noi, Signore, pietà di noi,
siamo già troppo sazi di disprezzo,
4 troppo sazi noi siamo dello scherno dei gaudenti,
del disprezzo dei superbi.
Seleziona Pagina
La preghiera di questo Salmo è tutta raccolta , celebrata e manifestata con gli occhi: la preghiera è uno sguardo. Oggi non sembrano esserci parole , e il silenzio è impressionante. Ma è uno sguardo ricco di significato: non è uno sguardo per osservare, per capire, per impadronirsi di quello che si guarda. E’ uno sguardo per ricevere! E’ lo sguardo del povero. Anzi, di più! E’ lo sguardo del servo e della serva. Dunque, sembra non sapere, e sembra non pretendere di sapere ciò che aspetta, ciò che desidera, ciò di cui ha bisogno. L’interpretazione più forte di questo sguardo della preghiera emerge al ver.3: “Pietà di noi, Signore, pietà di noi”. Infatti lo sguardo è accompagnato da una precisazione di tempo: sarà finché Dio “abbia pietà di noi”. Ma dunque, anche in questo, è una preghiera aperta e disposta ad ogni attesa. Tutto sembra suggerire una duplice ipotesi: è così, perché la povertà dell’orante è totale e assoluta, al punto che non c’è qualcosa che si chieda al di là della misericordia. Non questa o quella grazia, ma …tutto! L’altra ipotesi, che non contradice, ma se mai conferma la prima, è quella della totale apertura interiore ad accogliere tutto quello che Dio annuncerà e manifesterà.
Ed è di assoluto rilievo che questa preghiera sia sostanzialmente tutta concentrata nel rapporto tra due: il servo e il suo Signore. Manca il “terzo”, e cioè ciò che si vuole ricevere o, al contrario, ciò che deve essere respinto. O meglio, questo “terzo” c’è, ed è “lo scherno dei gaudenti” e “il disprezzo dei superbi”, ma di fatto tutto si gioca nella relazione tra i due. E dunque tra questo Dio che tace – alla lettera si dovrebbe dire che non muove, o non alza, la mano – e questo servo-serva che si esprime solo con quello sguardo così radicalmente umile e, forse per questo, così potente. Certamente Dio risponderà.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Il Signore che cerchiamo di amare “siede nei cieli”: è l’unico di condizione divina; non ci sono altri dèi o idoli. – Segue quello sguardo meraviglioso tra lo schiavo e il suo padrone, tra l’ancella e la sua domina: così è lo sguardo tra il Signore e i suoi figli. Una comunicazione fatta di attesa, disponibilità, silenzio… Mi viene in mente Gesù che dice: “Quando pregate, non moltiplicate le parole…” E anche la spiritualità del padre De Foucault, secondo cui “pregare è guardare a Gesù amandolo”. – “Pietà di noi, Signore…”: il termine italiano fa pensare a un umiliarsi, un buttarsi a terra davanti a Lui; ma per noi non è più così: per noi significa “Aiutaci, Signore… Padre buono, vieni in nostro soccorso…”