16 Chiamò la carestia su quella terra,
togliendo il sostegno del pane.
17 Davanti a loro mandò un uomo,
Giuseppe, venduto come schiavo.
18 Gli strinsero i piedi con ceppi,
il ferro gli serrò la gola,
19 finché non si avverò la sua parola
e l’oracolo del Signore ne provò l’innocenza.
20 Il re mandò a scioglierlo,
il capo dei popoli lo fece liberare;
21 lo costituì signore del suo palazzo,
capo di tutti i suoi averi,
22 per istruire i prìncipi secondo il suo giudizio
e insegnare la saggezza agli anziani.
23 E Israele venne in Egitto,
Giacobbe emigrò nel paese di Cam.
24 Ma Dio rese molto fecondo il suo popolo,
lo rese più forte dei suoi oppressori.
25 Cambiò il loro cuore perché odiassero il suo popolo
e agissero con inganno contro i suoi servi.
26 Mandò Mosè, suo servo,
e Aronne, che si era scelto:
27 misero in atto contro di loro i suoi segni
e i suoi prodigi nella terra di Cam.
28 Mandò le tenebre e si fece buio,
ma essi resistettero alle sue parole.
29 Cambiò le loro acque in sangue
e fece morire i pesci.
30 La loro terra brulicò di rane
fino alle stanze regali.
31 Parlò e vennero tafani,
zanzare in tutto il territorio.
32 Invece di piogge diede loro la grandine,
vampe di fuoco sulla loro terra.
33 Colpì le loro vigne e i loro fichi,
schiantò gli alberi del territorio.
34 Parlò e vennero le locuste
e bruchi senza numero:
35 divorarono tutta l’erba della loro terra,
divorarono il frutto del loro suolo.
36 Colpì ogni primogenito nella loro terra,
la primizia di ogni loro vigore.
In questo inizio della grande memoria della storia del popolo di Dio è evidente la tensione tra l’ “impegno” di Dio con la sua prospettiva universale, e la vicenda piccola e la condizione povera di Israele. Così, i vers.8-11 dicono la grande portata storica dell’alleanza divina stabilita con il suo popolo: “una parola data per mille generazioni” di cui Dio si è sempre ricordato e che accompagna tutta la storia di Israele. Una storia segnata peraltro dall’incessante migrazione di un piccolo popolo nomade sostenuto dalla promessa di una terra da ricevere come “eredità” e di fatto esposto ad una situazione che rivela i discepoli del Signore come “in piccolo numero, pochi e stranieri” (ver.12) nel loro cammino “di nazione in nazione, da un regno a un altro popolo” (ver.13).
Mi fermo su questa parola che porta con sé un grande interrogativo: la migrazione descritta in questa Parola è ormai finita, oppure è una caratteristica perenne della storia del Popolo di Dio? Tale domanda si pone sia per una vicenda come l’attuale identificazione della terra promessa con un territorio e uno stato ebraico, sia, e in termini molto più profondi, per il Popolo di Dio che è la Chiesa. L’essere un piccolo popolo di migranti è una condizione del passato ormai del tutto superata, o è la fisionomia propria di questo popolo così diverso da tutti gli altri? Non siamo forse in cammino verso una patria di cui cogliamo e celebriamo tutti i segni e le radicali esigenze, e che proprio per questo non può assimilarsi alle logiche, alle potenze e alle azioni del mondo?
Dunque la parola che oggi ascoltiamo e celebriamo è memoria di tempi ormai finiti, o è la perenne condizione del Popolo di Dio sino alla fine dei tempi? La fede non è forse la sempre attuale vicenda di un popolo di piccoli, di poveri e di peccatori, protetti, accompagnati e guidati da Dio? Non sarà forse una condizione visibilmente “migratoria”, ma proprio per questo continuerà ad essere attualissima questa presenza e potenza di Dio che “non permise che alcuno li opprimesse e castigò (ma sarebbe meglio dire “rimproverò”, che esprime un giudizio piuttosto che una visibile punizione) i re per causa loro” (ver.14). Non c’è dubbio: è il Popolo di Dio la comunità di coloro di cui Dio dice “Non toccate i mie consacrati, non fate alcun male ai miei profeti” (ver.15). Quella storia antica non è forse l’attuale condizione, e addirittura la luminosa profezia del Popolo che cammina con il suo Signore?
Per questo, la Parola che oggi riceviamo dalla bontà di Dio descrive il cammino profondo del suo Popolo, ed è anche il paradigma, il volto profondo, di ogni esistenza credente. Storia che in ciascuno di noi si svolge e si compie.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Il salmo ci presenta un Dio “superattivo”: chiama, parla, invia, muta il cuore…; è lui che ha l’iniziativa in tutto. E noi che siamo così spesso dubbiosi: C’è o è assente, ci chiediamo? Le vicende dolorose che ricordiamo oggi, “giornata della memoria”, hanno fatto concludere a tanti che Egli non c’è o che non è buono o non è onnipotente… Tutto il contrario nel salmo odierno: Dio è il protagonista, anche se a modo suo; è coinvolto in prima persona in una storia di liberazione, di salvezza di gente misera e oppressa, e chiama le persone a collaborare perché sia raggiunto il buon esito della sua iniziativa. La vicenda di Giuseppe è significativa a questo proposito: il Dio dei padri sembrava assente, lontano, e invece… Vi è qui la perfetta illustrazione di quella affermazione di Paolo secondo cui tutto concorre al bene di coloro che amano Dio e, soprattutto, che Egli ama. E in Giuseppe vediamo Gesù: “venduto come schiavo”, con i ceppi ai piedi…; ma poi “il re mandò a scioglierlo, il capo dei popoli lo fece liberare” e “lo costituì signore”…