1 Perciò chiunque tu sia, o uomo che giudichi, non hai alcun motivo di scusa perché, mentre giudichi l’altro, condanni te stesso; tu che giudichi, infatti, fai le medesime cose. 2 Eppure noi sappiamo che il giudizio di Dio contro quelli che commettono tali cose è secondo verità. 3 Tu che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, pensi forse di sfuggire al giudizio di Dio? 4 O disprezzi la ricchezza della sua bontà, della sua clemenza e della sua magnanimità, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione? 5 Tu, però, con il tuo cuore duro e ostinato, accumuli collera su di te per il giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, 6 che renderà a ciascuno secondo le sue opere: 7 la vita eterna a coloro che, perseverando nelle opere di bene, cercano gloria, onore, incorruttibilità; 8 ira e sdegno contro coloro che, per ribellione, disobbediscono alla verità e obbediscono all’ingiustizia. 9 Tribolazione e angoscia su ogni uomo che opera il male, sul Giudeo, prima, come sul Greco; 10 gloria invece, onore e pace per chi opera il bene, per il Giudeo, prima, come per il Greco: 11Dio infatti non fa preferenza di persone.
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Dopo la grande drammatica analisi della condizione del mondo pagano, Paolo affronta la situazione di quel “mondo” che, possedendo la Legge, penserebbe di poter giudicare chi legge non ha! Ma è proprio la Legge a denunciare che “tu che giudichi, fai le medesime cose”(ver.1). Sembra di poter ritenere che, proprio in quanto possessore della Legge, l’ebreo – perché è di lui che si parla pur senza averlo ancora esplicitamente nominato – sa bene che ”il giudizio di Dio contro quelli che commettono tali cose è secondo verità”(ver.2), quella verità che proprio la Legge rappresenta.
Se in forza della Legge l’ebreo si fa giudice, disprezza la ricchezza della bontà di Dio che “ti spinge a conversione”(ver.5). Questo è il divino valore della Legge: rivelare la giustizia di Dio e quindi muovere il cuore dell’uomo verso la conversione. Ma se l’ebreo si fa giudice in nome della Legge accumula su di sé il “giusto giudizio di Dio che renderà a ciascuno secondo le sue opere”. La Legge infatti svela la condizione del peccatore, ma in sé non lo assolve. Anzi! C’è tuttavia una “positività” della Legge, che al ver.7 non mi sembra espressa fedelmente in italiano e che provo a rendere alla lettera, ed è la condizione di coloro che “con l’umile pazienza dell’opera buona cercano gloria, onore e incorruttibilità”: non una giustizia posseduta, ma una giustizia incessantemente e umilmente ricercata.
Siccome quindi anche il pagano, pur non avendo la Legge, ha una coscienza morale, per lui come per l’ebreo c’è un giudizio divino di “tribolazione e angoscia”(ver.9), o al contrario un giudizio di “gloria, onore e pace”(ver.10). Ma tutto questo è “per il Giudeo, prima, come per il Greco”(ver.10). E’ importante quel “prima”! Perché conferma il dono e il privilegio della Legge come responsabilità e non come esenzione dal giudizio divino. “Dio non fa preferenza di persone”(ver11)! Lo straordinario compito universale dell’ebraismo che è quello di annunciare la giustizia divina della Legge e di invitare quindi a conversione tutti i popoli della terra, non lo diversifica da essi, ma se mai accentua la consapevolezza universale del bisogno di essere salvati. “Rendimi la gioia della tua salvezza” chiede il Salmo 50(51),14, e, traducendo dall’ebraico, S.Girolamo lo rende con “rendimi la gioia del tuo Gesù”, perché il nome ebraico Gesù significa appunto “Dio salva”. La legge rivela il peccato. Gesù salva dal peccato.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.