1 Fratelli, il desiderio del mio cuore e la mia preghiera salgono a Dio per la loro salvezza. 2 Infatti rendo loro testimonianza che hanno zelo per Dio, ma non secondo una retta conoscenza. 3 Perché, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. 4 Ora, il termine della Legge è Cristo, perché la giustizia sia data a chiunque crede.
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Il legame di Paolo con i suoi fratelli ebrei è indubitabile e profondo. Tali infatti sono il desiderio del suo cuore e la sua preghiera: possano essi trovare e accogliere quella “retta conoscenza”(ver.2) della giustizia di Dio che ora non accompagna e non illumina il loro zelo.
Questa non retta conoscenza li porta a cercare di “stabilire la loro propria giustizia”, cioè, come abbiamo visto, un tentativo di giustizia mediante le opere. Ma la giustizia è la giustizia di Dio in noi, la fede. In tal modo “non si sono sottomessi alla giustizia di Dio”. Questa sottomissione è l’obbedienza della fede, e cioè l’accoglienza del dono di Dio. Mi sembra che questa obbedienza della fede non si possa peraltro imporla e pretenderla. Paolo può quindi desiderare e chiedere per loro con la preghiera tale dono. Permettetemi una considerazione. Noi potremmo sentirci molto lontani da questo problema, vivendo in un clima culturale in certo senso opposto a quello dei padri ebrei nel loro rigoroso attaccamento alla Legge. Noi siamo culturalmente avversi ad ogni regime della legge. Ma questo mi sembra in gran parte non vero. In realtà abbiamo perso la speranza e la certezza nella giustizia e nella verità della “legge”, ma proprio per questo vaghiamo in un soffocante “moralismo”, dove ognuno è possessore di una “sua” legge. La nostra pretesa libertà è di fatto un continuo confuso dibattito su quello che è giusto, perché abbiamo smarrito le fonti: sia quelle della fede nella Parola di Dio, sia quelle laiche che ci consentano di avere riferimenti forti in qualche elemento fondante della vita e della convivenza umana.
In questo orizzonte, è di grande preziosità l’affermazione del ver.4: “il termine della Legge è Cristo”. Abbiamo già incontrato la parola qui resa con “termine” in Romani 6,21-22, dove si parlava di “traguardo”. Allora era per dire che chi è schiavo del peccato ha come “traguardo” la morte, mentre chi è libero dal peccato ed è servo di Dio ha come “traguardo” la vita eterna. Nel nostro testo tutto si illumina con la Persona di Gesù: “il termine della Legge è Cristo”. Qui l’uso della parola “termine” ci consente di cogliere il duplice significato che Paolo mette in evidenza: Cristo è “la fine della Legge”, perché con Gesù termina il suo compito di guidare verso di Lui, ed è anche “il fine della Legge”, perché in Lui la Legge giunge alla sua pienezza e al suo compimento.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.