di Giovanni Nicolini
in “l’Unità” del 9 giugno 2013
Molti segni di simpatia e di affetto riconoscente abbiamo letto e ascoltato nella memoria del beato Giovanni, il nostro amatissimo Papa Giovanni XXIII, a cinquant’anni dal Concilio da lui voluto e illuminato, e a cinquant’anni dalla sua serena ultima Pasqua.
Molti si chiedono se questo clima di affetto, dopo decenni di serioso silenzio, non si debba collegare alla presenza tra noi del nuovo vescovo di Roma, il Papa Francesco. Certo, bisogna dire che in questi giorni il Papa venuto da lontano ha commentato la vita e il ministero di Roncalli con parole di straordinario riconoscimento e di profonda riconoscenza. Mai si erano ascoltate riflessioni di questo livello, neppure nei giorni della beatificazione di Giovanni. Peraltro bisogna precisare che riserve e resistenze al pontificato roncalliano continuano ai nostri giorni, sia nelle alte gerarchie romane sia nel pensiero e nella prassi di molti vescovi.
Essendo cristiano, se pure mediocre, e prete, sia pure periferico, nella chiesa di Bologna, in tutti questi anni ho visto e vissuto anche linee di profonda continuità con quell’età conciliare che ha visto Bologna in un ruolo primario nel Vaticano II per la partecipazione profonda all’evento conciliare sia dell’allora arcivescovo Giacomo Lercaro e del suo vescovo ausiliare Luigi Bettazzi, sia di quella parte del nostro popolo cristiano che aveva preparato con grande sapienza e aveva seguito con impegno appassionato i lavori dell’assemblea romana.
Anche per Bologna i decenni successivi sono stati segnati da uno spirito di revisione che ha caratterizzato quasi tutte le chiese locali, in Italia come negli altri Paesi. Poche sono state le voci che nell’episcopato hanno custodito e fatto fiorire l’intuizione spirituale di Papa Giovanni. Ma una linea di continuità si è mantenuta ed è anche cresciuta. La gente che oggi va in chiesa è meno di quella di cinquant’anni fa. Ma chi oggi va in chiesa non può essere ricondotto a pensieri e prassi preconciliari, che pure sovrabbondano e in questi anni abbiamo sentito proporre persino ai livelli più alti del magistero.
Quella Chiesa conciliare non solo ha custodito i doni di allora, ma è cresciuta ulteriormente nella direzione che il Concilio indicava, esigendo di non essere ridotto alla memoria o all’apprendimento scolastico dei suoi documenti, ma di tenerne viva l’ispirazione profetica e l’esigenza di un’incessante riforma della comunità cristiana. Papa Francesco oggi dice parole e compie gesti che Papa Giovanni non ha detto e fatto, ma che sono fioritura semplice e stupenda della sua genialità spirituale. Per Papa Francesco questi sono i primi passi del suo episcopato romano e ancora non è stato per lui il tempo di pronunciamenti e documenti come quelli che hanno accompagnato e segnato il breve pontificato del Beato Giovanni come le sue encicliche e quel suo discorso inaugurale del Concilio che ha richiesto all’assemblea mondiale dei vescovi cattolici di abbandonarsi docilmente e dolcemente alla potenza dello Spirito che il Papa aveva annunciato e comunicato all’esordio del Concilio. Ma è indubbio che queste prime settimane di Papa Francesco sono state di grande consolazione e letizia per chi da molti anni attende i segnali di una nuova primavera ecclesiale.
E penso infine ad un segno ancora più prezioso che ho visto manifestarsi intorno al ministero del nuovo Pontefice, ed è la letizia di molti miei amici e fratelli che si considerano non credenti. Anche per loro, una grande simpatia e una misteriosa gioia. In questo senso, Francesco suscita nel cuore di molti uomini e donne del mondo la stessa profonda allegrezza e attenta simpatia che Papa Giovanni cinquant’anni fa ha regalato al cuore di tanti che, pur lontani dalla vita e dalla prassi ecclesiale, si sono sentiti da lui presi per mano e capiti. E soprattutto, voluti bene.