1 Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2 dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3 Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4 Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5 Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6 si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7 dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.

Seleziona Pagina
E’ molto forte la densità critica delle parole di Gesù nei confronti di scribi e farisei. Ed è ancora tutta interna alla fede e alla fedeltà del popolo ebraico. Viene dunque da Lui denunciata un’infedeltà che colpisce la sostanza dell’alleanza tra Dio e il suo popolo.
L’accusa di Gesù evidenzia prima di tutto una separazione, una divisione, espressa al ver.3 con le parole “dicono e non fanno”. Qui io azzardo una spiegazione che voi dovete considerare con prudenza e saggezza, sapendo come è fatta la mia testa. Non mi sembra che il problema evidenziato da Gesù riguardi solo il comportamento delle persone, ma qualcosa di più profondo. Il “fare” per la fede ebraica è assolutamente essenziale, al punto che l’ebreo “fa per capire”, mentre la nostra tradizione culturale afferma che bisogna prima capire e poi fare. Per la fede ebraica è il “fare la volontà di Dio” che introduce e promuove la comprensione di Lui e del suo mistero. Allora, se vale questa considerazione, l’atteggiamento di scribi e farisei non è solo un comportamento sbagliato, ma è l’instaurazione di un regime e di un ordine che non sono secondo Dio. “Dicono e non fanno” è un modo di essere prima che un modo di fare. Stanno seduti sulla cattedra di Mosè per dire ma non per fare. Ma questo contradice una nota essenziale della fede di Israele! La vera autorità e autorevolezza non sta nella proclamazione del precetto, ma nel suo contatto e nella sua operosità nella storia. Nella storia del popolo come in quella di ciascuno dei suoi figli e delle sue figlie. “Fare la Parola” è il grande compito del credente. Per questo, l’indicazione di Gesù è netta e severa: “Fate (così, alla lettera) e custodite (così, alla lettera)tutto ciò che vi dicono”, seguito da un’affermazione di estremo rilievo: “..ma non fate secondo le loro opere”. Ma quali sono le opere di scribi e farisei? Il loro dire senza fare! Questo è sbagliato! L’enunciazione dei precetti non è la fedeltà a Dio!
Se manca il primato di quel “fare”, le parole sante del Signore diventano “fardelli pesanti e difficili da portare”, imposti alla gente mentre i capi ritengono assolto il loro compito in una enunciazione di principio senza fare i conti con la storia: così al ver.4. E’ evidente lo stravolgimento della volontà divina: invece di essere Parola di salvezza e dono di Dio per la fatica di ognuno e di tutti, la Parola divina diventa peso insopportabile.
Ma non basta! Con questa interpretazione deviata, essi, invece di promuovere il cammino verso Dio, in certo modo si sostituiscono a Lui, con un processo di identificazione che mondanizza il dono di Dio facendone un principio di vanità e di potere mondano. Una forma di idolatrìa: “tutte le loro opere ( che, come dicevamo, sono un dire senza fare) le fanno per essere ammirati dalla gente”. Sono forme aberranti di autoidolatrìa, esposte a far deviare dall’adorazione verso Dio per una liturgia mondana che di fatto elimina Dio e intronizza degli uomini! Così, i vers.5-7, descrivono l’abominevole “liturgìa” che non è più celebrazione della presenza e dell’azione di Dio nella storia umana, ma autoincensamento e affermazione di un potere mondano illegittimo e deviante. Spero di non scandalizzare nessuno. Io per primo mi sento giudicato da queste parole di Gesù.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Che immagini efficaci troviamo sulla bocca di Gesù anche in questi versetti: scribi e farisei “si sono installati” sulla cattedra di Mosè; pongono sulle spalle della gente fardelli pesanti e difficili da portare (quanto a loro, non li spostano nemmeno con un dito); assaporano il piacere di essere ai primi posti e di sentirsi chiamati e salutati col titolo di “Rabbì!”, Maestro mio! E non dimentichiamo quei filatteri e quelle frange: segni materiali posti sul corpo per un ricordo continuo del legame con Dio, ma poi ridotti a strumenti delle propria visibilità e vanità… Mi piace accostare quei fardelli pesanti e scomodi al peso di cui parla Gesù, che viene definito soave, leggero… – E permettetemi di dire: nella comunità di Gesù non si potrebbero semplificare certi titoli (Monsignore! Eccellenza!..) e certi abiti e copricapi, che tra l’altro sono quasi ridicoli? Papa Giovanni e Paolo VI avevano cominciato a semplificare…; non si potrebbe riprendere?
Mi hanno dato un pò da pensare queste parole che gli scribi dicono ma non fanno.
In particolare, come ha commmentato Giovanni, mi è sembrata forte la preoccupazione di Gesù sull’agire,sulle opere distorte.
Bello anche il fatto forse che essendo la Parola già presente bisogna unicamente ‘praticare e osservare’. Non dobbiamo inventarci nulla ma osservare, seguire, obbedire..
Non sembra facile.
‘Accresci in noi la fede’ leggevamo domenica scorsa..
Mi pare che in queste parole Gesù stravolga il nostro modo di vedere l’autorità ecclesiastica. Generalmente si sente dire: “quel prete predica bene ma razzola male”. E questo ci blocca nel “fare e custodire” quel che ci viene detto (“se non lo fa lui quel che dice di fare, perché lo devo fare io?”). Gesù sembra che ci dica: “non ti preoccupare se quel prete razzola male, fa’ e custodisci quel che ti dice di fare”. Senza giudizio. Il giudizio è già il non fare e il non custodire la parola che, comunque, ci viene donata concretamente da “coloro che siedono sulla cattedra di Mosè”. Chiunque essi siano.
E a questo proposito si può forse aggiungere come, nonostante tutte le opere distorte che nella storia passata e presente sono state fatte, la chiesa – il nuovo Israele – continui ad essere custodita dalle promesse di Dio.
Ma forse m’inganno…
Stefano
v. 3 “…dicono e non fanno”: è il contrario di ciò che avviene della Parola di Dio, il suo proprio infatti è che quando viene pronunciata opera e crea. Dunque questa frattura tra il dire e il fare è proprio l’opposto di quello che Dio è e fa.
Questi vv. riportano alla memoria Mt 11:25-30 che abbiamo riletto nella festa di s. Francesco: “Prendete il mio giogo sopra di voi… Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero”. Il giogo che Gesù per primo porta, e di cui anche i discepoli sono partecipi. È soave e leggero perché accolto nella comunione piena con il Padre.
In questo giogo soave sono comprese anche le sofferenze e le malattie degli uomini, di cui Gesù si è caricato per liberarci.
v. 5 “…allargano i loro filattèri e allungano le frange”: il primo verbo usato qui lo ritroviamo in 2 Cor 6:11-13; 7:2: “…Io parlo come a figli: rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro cuore!”; “Fateci posto nei vostri cuori!”. C’è un allargamento esteriore che corrisponde al desiderio di ingrandimento della propria vita esteriore, che vuole essere vista come grande e onorabile; e c’è al contrario la proposta di Paolo, che si allarghi il proprio cuore per accogliervi nella carità tutti i fratelli.
Nelle parole di Gesù si coglie come il molto “fare” degli scribi e farisei, che viene esplicitamente menzionato al v. 5: “Tutte le loro opere …” avendo come fine l’ “essere ammirati dagli uomini” è in realtà fatica inutile e un non fare agli occhi di Dio. Così come quelli (stessi ?) che lasciati fuori supplicheranno Gesù dicendo: “Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome?”, che si sentiranno rispondere: “Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità”, perché non ascoltano le Sue parole per metterle in pratica, ma operano per altre cause e scopi.
Gesù oppone qui al “dire e non fare” degli scribi e farisei” maestri sedutisi sulla cattedra di Mosè, la necessità di “ascoltare ciò che dicono e di farlo”, riaffermando questo come l’atteggiamento corretto, sia nei confronti di Dio che degli uomini.
Gesù non ci chiede di “indagare e valutare” se le opere di tali maestri corrispondano o meno al loro insegnamento; è Lui stesso che opera questa valutazione e (severo) giudizio su loro. A noi chiede semplicemente di aderire alla volontà di Dio, anche qualora ci venisse ricordata da maestri indegni.