1 Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, 2 dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. 3 E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”». 4 Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: 5 Dite alla figlia di Sion: Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma. 6 I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: 7 condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere.

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Mi sembra il punto più forte in tutto il Vangelo secondo Matteo dove Gesù opera come il “regista” di Se stesso, come colui che compie e attua le profezie di Israele. Possiamo pensare che questo intervento diretto da parte sua sia dovuto alla delicatezza estrema del volto della sua “regalità”. Una regalità che anche durante gli interrogatori del suo “processo” Egli negherà proprio per l’equivoco “politico” che tale titolo tende a suscitare, e che si prolungheranno in una perenne tentazione di porsi come potenza mondana anche da parte della comunità ecclesiale.
Il solo Matteo cita esplicitamente, al ver.4, la luminosa profezia di Ezechiele 9,9 che oggi è bello riascoltare per cogliere nella regalità di Gesù la pienezza della sua signoria messianica, nello stesso tempo così gloriosa e così mite e umile. E’ con Lui che la regalità manifesta il volto che le sarebbe proprio e cioè quello di un potere che “regge”, cioè che sostiene e porta coloro che le sono affidati, e non un potere che sta sopra e opprime gli altri.
A proposito dei vers.2-3 possiamo domandarci il senso di questo prendere a prestito l’asino. Forse l’evocazione del ruolo primario di Israele che conduce questo suo figlio fino alla pienezza della sua signorìa? Vedo che a qualcuno piace pensarsi come quell’asino di cui Gesù può “aver bisogno”.
Amiamo la festa di questo ingresso del Signore a Gerusalemme, ancora libero da tutti i drammi mondani che lo porteranno alla croce, e quindi ancora libero di esprimere pienamente la gioiosa esultanza del popolo, e in particolare dei più piccoli, come vedremo, perchè Egli è veramente l’atteso, il Messia Salvatore.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Ho trovato molto bello il taglio del testo di oggi che ci regala di fermarci un po’ su questi due animali che accompagnano Gesù a Gerusalemme. Solo per Matteo sono due.
Già in altre occasioni abbiamo incontrato la tendenza di Matteo a duplicare, rispetto agli altri evangelisti: i due indemoniati Gadareni (Mt 8,28), i due ciechi di Betsaida (Mt 9,27) e i due ciechi di Gerico, appena incontrati (Mt20,29).
Trovo bellissimo che questo ‘doppio’ racchiuda oggi un volto femminile (ripreso anche nell’immagine della Figlia di Sion)e in esso dono il della maternità: i due sono un asina e il suo puledro.
E quello che sarà il suo giogo (Mt 11,29) è prefigurato da questa bestia da soma, che oggi porta Lui. E’ il mistero della maternità che oggi porta Gesù, nell’ingresso nei tempi e nei luoghi della sua Passione.
Anche nel teso odierno compare un termine che viene considerato dagli esperti una parola-chiave: il villaggio (v.2). Il villaggio è un luogo chiuso alla novità, al cambiamento; è attaccato alle sue tradizioni, comprese quelle religiose: “Si è sempre fatto così…!”. Nel contesto del brano odierno, tutti si aspettano un messia regale, potente che – anche con l’uso della forza, della violenza – riporti Israele agli splendori di Davide. Ma Gesù arriva su di un’asina e le profezie citate confermano che che è un re piccolo, un portatore di pace, non di campagne militari. Al v.3 Egli si attribuisce – unico luogo, credo, in questo vangelo – il titolo di Signore. Ma sappiamo che è un Signore che serve, che è venuto a dare tutto, non a dominare e sottomettere. E vuole che anche noi siamo “signori” così.
Mi ha molto colpito la profezia di Zaccaria:
‘Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma’.
Mi ha dato molto l’idea di un piano collettivo, universale della venuta del Signore ma anche di uno individuale, personale.
Come se il Signore entra si, a Gerusalemme, ma entra anche in ciascuna delle nostre vite. Come? Forse in maniera mite, semplicemente, senza esagerazioni. Può essere forse allora interessante provare ad individuare in che modi e tramite quali persone, ogni giorno, possiamo accogliere la venuta di Gesù nella nostra vita.
Possiamo partire dalla lectio?
Anche io sono stato conquistato da quella profezia: “viene a TE il TUO re, MITE, seduto su un’asina”
Questi aggettivi possessivi lo definiscono come il re giusto, familiare, conosciuto e atteso da secoli che finalmente arriva a noi!
Anche la parola MITE racchiude un mistero affascinante e nuovo, nuovissimo, diverso da tutti gli altri, unico per noi e per tutta l’umanità.
Nei vv. iniziali del racconto dell’ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme alcune parole (allora, subito, subito…) indicano come sia veramente ormai giunta l’ora dell’adempimento delle Scritture sottolineata da questa fretta. Gesù è venuto a portare il fuoco sulla terra, e vuole che sia acceso presto.
Tutto avviene come una grande liturgia. Ricorda il salmo: “Alzatevi porte antiche, ed entri il re della gloria!”, anticipo dell’ingresso di Gesù glorificato in cielo presso il Padre .
Gesù “manda” due discepoli, avanti a sè verso Betfage/Betania, a prendere per lui un’asina e il suo puledro. Li manda con una raccomandazione: “DIte: il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà subito”. Questo “rimandare subito” è un segno della mitezza di Gesù, è il modo di Gesù di relazionarsi alle creature.
Sabato nei due ciechi qualcuno suggeriva di vedere un segno di Israele e delle Genti, entrambi bisognosi della luce del Signore per seguirlo nella sua via. Anche oggi ci piace trovare questo stesso significato nei due asinelli di cui il Signore ha bisogno. E “li rimanderà subito”, a tutti gli uomini. Questo è vero anche a proposito di quelli a cui il Signore chiede di partecipare alla sua Pasqua: li manda subito a tutti gli uomini. Anche noi viviamo questo, nella celebrazione dei misteri, nella liturgia, veniamo presi dal Signore e poi veniamo rimandati subito nella nostra condizione ordinaria, con doni e responsabilità verso tutti gli uomini. E gli apostoli vengono mandati a prendere quegli animali legati: li devono scigliere e condurre al Signore, e poi Lui li rimanderà. E’ come una parabola della vita cristiana, è sempre così per quelli che credono in Gesù: sono fatti liberi, slegati e condotti a Lui, perchè poi Lui li rimandi liberi a farsi servi degli altri uomini, come uomini tra gli altri uomini.
Solo Matteo dice che i discepoli si tolgono i loro mantelli e li pongono sull’asina e l’asinello: è segno della loro partecipazione alla mitezza di Gesù. E’ anche segno, come leggiamo in Efe, dello spogliarsi dell’uomo vecchio per essere creature nuove.
I discepoli obbediscono alle parole del Signore che li manda, e non dicono niente. Sono le Scritture a parlare e a rivelare che Gesù è il mite Messia promesso.
E’ una particolarità di Matteo la doppia cavalcatura di Gesù, come la coppia di ciechi e discepoli che abbiamo incontrato. Forse è una memoria di Gen 49:11, la benedizione di Giacobbe a Giuda: “Egli lega alla vite il suo asinello, a una vite scelta il figlio della sua asina”. E l’adempimento della profezia su Gerusalemme di Zac 9:9 : “Ecco a te viene il tuo re, … umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina”. Perchè due? Partendo da Gen 1 vediamo che le opere della creazione di Dio sono a coppia, e che anche ci sono due racconti della creazione. La doppia cavalcatura vuole forse indicare la doppia dimensione di ciascuno di noi, corpo e anima, dove splende la immagine di Dio.
“Ne ha bisogno, e li rimanderà subito”. E’ un bisogno temporaneo, simbolo della brevità della vita umana. Gesù ha bisogno della nostra umanità, ma è un fatto di pochi giorni, tanto che la vita appare come un a corsa, come dice anche Paolo: “Ho terminato la mia corsa, …”