24 Quando furono giunti a Cafàrnao, quelli che riscuotevano la tassa per il tempio si avvicinarono a Pietro e gli dissero: «Il vostro maestro non paga la tassa?». 25 Rispose: «Sì». Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: «Che cosa ti pare, Simone? I re della terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli estranei?». 26 Rispose: «Dagli estranei». E Gesù replicò: «Quindi i figli sono liberi. 27 Ma, per evitare di scandalizzarli, va’ al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che viene su, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala loro per me e per te».
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La Parola che oggi riceviamo dalla bontà del Signore è ricordata solo dal Vangelo secondo Matteo, e mi sembra di grande importanza per farci capire quale sia l’atteggiamento del credente nelle “cose del mondo”. Per questo ho preso la decisione di non considerare questa “tassa per il tempio” come un dovere “religioso” dei credenti, ma come forse poteva essere per i figli di Israele, un dovere “civile”, per tutti i maschi che avessero compiuto i vent’anni, come possiamo ascoltare in Esodo 30,13ss. E questo proprio per quello che oggi Gesù dice a Pietro. Apro una piccola parentesi per notare insieme a voi quanto ci sia preziosa la personalità e l’agire di Pietro che rappresenta molto spesso l’atteggiamento istintivo di ciascuno di noi. E quindi come anche le “correzioni” da parte di Gesù diventino ricche di valore pure per noi oggi.
Dunque, Pietro è molto netto nella sua risposta quando gli chiedono se il maestro paga la tassa. E Gesù non nega la cosa ma la arricchisce enormemente facendone occasione preziosa per ricordare la straordinaria novità che Egli è venuto a portare. E’ bello anche che nella sua risposta Gesù coinvolga subito tutti noi, mentre la domanda sembrava riguardare solo la sua persona: in Lui, anche noi siamo “figli”! I re della terra riscuotono le tasse da quelli che non sono figli, mentre questi restano nel privilegio della loro appartenenza regale. Infatti sono “liberi”! E’ bello ricevere il termine alla lettera, mentre la versione italiana precedente diceva “esenti”. “Libero” è un termine assoolutamente raro nei Vangeli. Giovanni ne fa un uso meraviglioso in un solo passaggio. Degli altri evangelisti, solo Matteo cita il termine e solo qui! Invece, la nostra condizione di libertà è essenziale! Fino a dover dire che proprio perchè siamo liberi, dobbiamo “pagare” tutte le tasse! Guai a trasformare la nostra fede in un privilegio o in un’esenzione mondana! Ma d’altra parte, non dimentichiamo che è proprio la nostra libertà a rendere così preziosa la nostra volontà ferma di essere nella condizione di tutti. E forse si può dire anche di più! E cioè, che, pagando la tassa – e ogni tassa, anche quelle non pecuniarie, come la malattia, o la paura, o la fragilità…! – suggeriamo anche a tutti i nostri fratelli che ancora non sanno di essere “liberi figli del re” quale sia la loro più profonda realtà!
E mi sembra affascinante e molto consolante che Gesù ci chieda di considerare persino lo stesso pagamento della tassa non come un peso, ma ancora come una conferma della nostra condizione meravigliosa di figli di Dio. Così, la bocca del primo pesce pescato da Pietro lo confermerà che possiamo abbandonarci con pace ad ogni nostra povertà, perchè la nostra vita è tutta protetta e accompagnata dall’amore di nostro Padre. I cristiani devoti e lamentosi sono anche molto noiosi. Ma soprattutto sono ingiusti. Lo sappiamo bene tutti noi che oggi ascoltiamo questa Parola: sempre e dappertutto ci avvolge il dono del Signore.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Gli esattori della tassa per il tempio si avvicinano a Pietro per porgli una domanda che è una insidia verso il Maestro e sondare quale sia il suo rapporto con il tempio, e quindi con Israele e il suo culto. La risposta immediata di Pietro sembra data per liberarsi rapidamente da quei piantagrane.
E mentre Pietro rientra in casa, Gesù lo previene riaprendo subito Lui l’argomento: “Chi deve pagare le tasse? I figli o i servi? E io sono figlio o servo? E tu?”
Il contrasto tra il “tempio” (v.24) e la “casa” (v. 25) preannuncia la novità della comunità di Gesù, la chiesa raccolta nelle case. E nella “casa” c’è la famiglia dei figli di Dio, liberati da ogni schiavitù: “Così, fratelli, noi non siamo figli di una schiava, ma di una donna libera. Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù.” (Gal 4:31s).
E non si trova né presso Gesù, né presso Pietro, né in casa, questo denaro che va dato al tempio (e – in un altro passo – a Cesare). Gesù, in casa con i suoi, porta il sigillo del regno dei cieli, mentre questa moneta porta il segno dei regni terreni.
Gesù è il Figlio, anche se – come cantiamo in Filip 2:6-7 “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini”.
v. 27 “Prendila e consegnala a loro per me e per te”: Con queste parole Gesù si assimila a noi, e assimila Pietro a sé, cioè lo ritiene figlio (v. 25) di Dio (il padrone della casa che è il tempio). E in questo cap 17 abbiamo visto molte cose di Gesù: la sua gloria nella trasfigurazione., la fede che smuove le difficoltà grandi come montagne, il suo viaggio verso Gerusalemme e l’accettazione della sua passione. E ora dice a Pietro: Tu sei figlio, come io sono figlio! Tutto ciò che è stato preparato per me è anche per te”.
Pagare la tasse del tempio, nel suo significato più vero per Gesù, e per Pietro (e i discepoli) vuol dunque dire venire uccisi, dare la vita per i fratelli, figli del Padre. “Così dunque voi non siete più stranieri (“estranei”) né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio (Efe 2:19).
E come figli e familiari di Dio non siamo tenuti a pagare “tasse religiose”, ma semmai solo a non compiere azioni che scandalizzino altri, e a prendere da ciò che deriva dal nostro lavoro (il pesce di Pietro) in obbedienza alla parola di Gesù, quanto viene richiesto di dare.