1 In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?». 2 Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro 3 e disse: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. 4 Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. 5 E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me.
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Non penso che la domanda che i discepoli rivolgono a Gesù al ver.1 indichi una complessa gerarchia “dantesca” dei posti in paradiso, ma più semplicemente e profondamente quali siano i criteri divini della vera grandezza. E quale sia quindi la fisionomia profonda della vita cristiana. E mi sembra molto importante che Gesù propriamente non risponda direttamente alla domanda, e non indichi una persona o un tipo di persona, ma piuttosto un grande movimento di conversione, evidentemente possibile a tutti e aperto ad un’infinità varietà di situazioni e di accadimenti.
Per far questo Egli si esprime in due modi. Innanzi tutto con un segno concreto che mostri quasi “visivamente” ciò che è ritenuto “grande” nel regno dei cieli: e chiama e pone in mezzo a loro un bambino. E poi l’invito ad un grande itinerario di conversione di cui la “piccolezza” di quel bambino è immagine viva.
Tale è dunque la vera “conversione”. Gesù la esprime con un verbo forte che dice proprio un’inversione di marcia, un radicale cambiamento di attenzione e di tensione. Ricordiamo che il peccato che alle origini ha ingannato l’uomo è l’ipotesi di diventare come Dio. Di diventare grande! Noi oggi sappiamo quale sia il cuore di questo inganno! Sta proprio nel mistero stesso di Dio, quello che Gesù ci ha rivelato mostrandoci pienamente Dio nella piccolezza amante e obbediente della sua Croce. Diventare “come i bambini”(ver.3), e farsi piccoli “come questo bambino” non vuole indicare nè una piccolezza fisica, nè è essere segno di quell’innocenza che le retoriche monbdane attribuiscono ai bambini. Ma piuttosto la debolezza, la povertà, il bisogno di tutti e di tutto, e soprattutto il bisogno di essere amati che caratterizza l’esistenza dei bambini. Essere sempre più, quindi, nelle mani di Dio. Accettare la propria debolezza, persino quella del peccato, come grande occasione per uscire dall’orgoglio della propria solitudine, per avere bisogno di Lui e di coloro che Lui ha posto come angeli accanto alla nostra vita. Il bisogno di essere salvati, e,come meravigliosamente dice il Salmo 50(51),14, “la gioia di essere salvati”! Questa è la grande strada che Gesù è venuto a rivelarci e a donarci! E’ la strada che Lui per primo ha percorso nella sua obbedienza amante fino alla Croce e alla gloria. Tale è la “grandezza” nel regno dei cieli.
Questo itinerario del farsi piccoli accompagna tutta l’esistenza terrena, sino alla fine. A questo il Signore fa seguire la proposta di un’azione – di un fare – che ci aiuta a vivere con pace il vertiginoso progetto del nostro incessante doverci fare piccoli. Ed è l’accoglienza dei piccoli. Così al ver.5. Dicendo che si tratta di accogliere un solo bambino “come questo”, forse Gesù dilata l’accoglienza dei piccoli fino all’accoglienza di chiunque in ogni modo sia “piccolo”. Questo mi ha fatto molte volte scoprire che se da una parte davo accoglienza ad un piccolo, dall’altra non accoglievo la “piccolezza” di un mio fratello o di una mia sorella. E molte volte mi capita di dover capire che il primo “piccolo” (misero, mediocre, e ben diverso da come vorrei) da accettare, da accogliere e da sopportare….sono io!
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni
Il “dunque” del v. 1 suggerisce un collegamento forte con quello che precede, dove il Signore aveva mostrato e donato a Pietro (e ai discepoli) la sua stessa dignità di “figlio” e quindi di “piccolo” nei confronti di Dio.
Si possono unire le parole di oggi anche al testo del Vangelo di domenica scorsa: da un lato “piccoli” come gli invitati che non scelgono più i primi posti perché riconoscono la propria piccolezza e indegnità, e non ne hanno paura. E dall’altro, invitando i piccoli, onorando quegli stessi che il Signore Dio vuole onorare di più. E il modo per fare questo è quanto il Signore ci diceva negli ultimi vv. del cap. 17: la sua necessità di andare a Gerusalemme, di obbedire al Padre nella sua passione, e nel dono della vita. Oggi dice ai discepoli di seguirlo in questo cammino.
v. 4 “…sarà il più grande nel regno dei cieli”. Troviamo molte volte questa parola “più grande” a proposito dell’amore. È il precetto “più grande” e nello stesso tempo è anche il carisma “più grande”, più della fede e della speranza, e non avrà mai fine (1 Cor 13). Il più grande è quel bimbo, perché l’amore è più grande di tutto.
Ci viene detto che dobbiamo farci piccoli, è necessario confidare in Dio e accogliere da Lui ogni dono. Lui ci innalza a sé. L’importanza della umiltà e della obbedienza: è la caratteristica dei piccoli. Diventare come bimbi vuol dire essere contenti di venire accolti da Dio come piccoli, abbandonando la superbia.
Sono parole che ricordano anche il colloquio di Gesù con Nicodemo: “Gli rispose Gesù: In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio” (Gv 3:5), con riferimento alla necessità di rinascere per la fede per mezzo dell’acqua e dello Spirito Santo, nel Battesimo, e nella grazia che viene data: “Come bambini appena nati bramate il puro latte spirituale, per crescere con esso verso la salvezza” (1Pt 2:2).
Accogliere il bambino (v. 5) è accogliere anche la povertà e la piccolezza del fratello, così si adempie la legge di Cristo (Gal 6:2 “Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo”).
I vv. 3 e 4 sono due passi successivi verso il regno: il v. 4 è rivolto a tutti: “se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”, a tutti insieme, suggerendo forse anche la necessità/possibilità di aiutarsi ed esortarsi a vicenda in questo, ed è la via non tanto per “essere grande” bensì per lo stesso “entrare” nel regno, e dice quale sia lo “status” che ci accomuna tutti: bambini, e “figli” (v. il brano di ieri) di Dio; e il v. 5 è rivolto a ciascuno, uno per uno, “.chiunque diventerà piccolo…sarà grande” dice la necessità di umiliarsi come quel bimbo che Gesù prende e mette in mezzo: esempio di confidenza e dipendenza verso Dio; e di uguaglianza tra i fratelli/figli.