32 Allora Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: «Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino». 33 E i discepoli gli dissero: «Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?». 34 Gesù domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette, e pochi pesciolini». 35 Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, 36 prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla. 37 Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene. 38 Quelli che avevano mangiato erano quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini. 39 Congedata la folla, Gesù salì sulla barca e andò nella regione di Magadàn.
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Consideriamo con attenzione la diversità del nostro testo da quello che abbiamo ascoltato in Mt.14,13-20. Ci sarà utile. Si può notare che il primo miracolo dei pani era voluto e provocato da Gesù in alternativa alla proposta dei discepoli che pensavano si potesse invitare la gente a procurarsi da mangiare nei villaggi intorno. Qui evidentemente questo non è possibile. Il luogo è veramente deserto. Ed è Gesù che richiama i discepoli alla situazione. Inoltre, mentre nel primo miracolo era stato Gesù ad avvicinarsi alla folla, qui è la folla che lo ha seguito, sta con Lui da tre giorni “e non hanno da mangiare”(ver.32). La situazione è stringente e Gesù non li vuole rimandare digiuni,”perchè non vengano meno lungo il cammino”.
Si potrebbe dire che il primo miracolo non era razionalmente e mondanamente necessario, e Gesù lo ha in certo modo provocato e imposto. Qui invece la necessità è stringente. Ne possiamo dedurre un’ipotesi, e cioè che il primo miracolo voglia alludere fortemente all’Eucaristia, ad un banchetto cioè mondanamente non necessario, ma decisivo per cogliere il dono di Dio che accompagna e sostiene la storia del suo popolo. Qui il miracolo si collega alla contingenza concreta dell’impossibilità di risolvere il problema della sussistenza e della sopravvivenza della gente. E’ dunque come se il primo miracolo eucaristico generasse questo secondo, direttamente collegato alla fame delle persone. L’Eucaristia cioè, genera ed esige la concreta carità e la comunione fraterna dei figli di Dio.
Questa volta, come affermano i discepoli al ver.33, non c’è possibilità di procurarsi cibo, e quello che essi hanno è irrilevante rispetto al numero e alla fame della gente. Come nel primo miracolo, con le stesse modalità, Gesù rende grazie, spezza e dà ai discepoli perchè loro diano alla folla. E tutti mangiano e si saziano. Possiamo arrischiare di concludere che come prima si erano nutriti di un pane del cielo, pur essendo anche allora in stato di necessità e di fame, ora si nutrono della carità divina e trasferiscono nella vicenda storica la comunione fraterna che li unisce nell’unica mensa dell’Amore di Dio. Eucaristia e Amore sono evidentemente inscindibili. Senza Eucaristia non si dà il miracolo dell’Amore fraterno. Un’Eucaristia che non si dilata nella storia come fraternità d’amore viene privata della sua potenza di generare una storia nuova non solo per i cristiani, ma per tutta l’umanità. La Chiesa dei primi tempi univa strettamente l’Eucaristia all’Agape fraterna che celebrava la fecondità storica del Pane del Sacrificio di Gesù.
Le ceste avanzate erano dodici come gli Apostoli nel primo miracolo. Qui sono sette, forse ad indicare i sette giorni. Appunto il tempo, la storia. Una storia visitata dall’Amore di Dio e dal Pane spezzato della Pasqua di Gesù.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
PRIMA PARTE
Il Signore non resiste alla compassione. Anche nel passo parallelo di marco c’è la stessa sottolineatura del cuore compassionevole di Gesù. La prima volta che Gesù nutre le folle, Matteo nota che Gesù ha compassione di loro perché sono come pecore che non hanno pastore; qui, ha compassione di loro perché anno fame: un bisogno molto concreto, dello spirito e della carne. Gesù mostra di avere attenzione e compassione alle necessità della gente. E interviene quando le folle non hanno più risorse su cui contare.
Il frazionamento dei pani che Gesù opera avviene in modo continuo (è usato il verbo all’imperfetto). E i discepoli danno quello che hanno ricevuto da Lui, in una maniera che indica la continuità dell’opera della Chiesa. Vengono in mente (anche per il numero dei pani (sette) i sette diaconi che si prendevano cura delle mense della prima comunità cristiana.
Questo numero sette, contiene tante allusioni alla pienezza dell’opera di Dio: i sette giorni della creazione, i sette doni dello Spirito Santo, le sette chiese dell’apocalisse: e se i tre giorni della sequela di Gesù suggeriscono il seguirlo per la sua Pasqua, il numero sette suggerisce il compimento della storia e della salvezza che Gesù con la sua pasqua ha portato, e come questo si rinnovi nelle Chiese per la presenza del suo Spirito Santo.
“Dove troveremo pani qui nel deserto?” Non sono là per caso. Queste parole sono dette da Gesù ai suoi discepoli per istruirli, per spiegare loro un modo nuovo di nutrire le persone, di soddisfare i bisogni degli uomini: quel poco che hanno è sufficiente per le necessità di quella molta folla. Gesù associa il suo insegnamento ad esempi: oggi “prende” i pani e i pesci; e poco prima aveva raccontato l’esempio del chicco di senape e del lievito, che un uomo “prende” e semina, o “prende” e disperde nella pasta. Questo suo gesto di oggi di spezzare e benedire e dare ai discepoli perché distribuiscano a tutti quel nutrimento nuovo, corrisponde a quel piantare il seme e nascondere il lievito. E’ il nuovo modo del Regno di Dio: ciò che è poco, che è piccolo, basta per una grande necessità.
CONTINUA
SECONDA PARTE
Gesù dà ai discepoli i pani e i pesci dopo avere reso grazie e averli spezzati, ed essi li danno alle folle. Gesù rende partecipi i discepoli di questa sua opera. E’ qui indicato già il mistero della messa: in qualche modo noi, come discepoli, siamo gli invitati al banchetto, ma poiché siamo fatti da Gesù partecipi di questo mistero, perché Gesù ha preso il nostro pane (come ha preso il nostro corpo), bisogna che ricordiamo sempre che non è per noi, ma per molti. Gesù ci dà un pane perché lo possiamo dare ad altri.
Gesù nutre tutti; ieri aveva guarito tutti i malati che quella folla aveva portato a Lui, tutta quella folla di malati, e oggi li nutre, dopo averli guariti. Le sette ceste che vengono raccolte, indica la sovrabbondanza di quel cibo.
In Matteo abbiamo due racconti di Gesù che nutre le folle. La prima volta sono i discepoli a dire a Gesù che c’è una grande folla affamata. Oggi è Gesù che mostra la sua compassione. Ci ricorda la conclusione del cap. 6: “Non preoccupatevi per il cibo, perché il Padre vostro celeste ha cura di voi”: è vero: Gesù non ci lascia tornare a casa affamati.
La quantità che abbiamo è poca, ma ciò che abbiamo è sufficiente. È importante considerare questo anche a proposito della nostra stessa vita: riceviamo tutto da Dio, e ciò che abbiamo basta. Dobbiamo imparare come distribuire bene la nostra vita, perché basti per molti.
Quando Gesù spezzò la prima volta i pani (Mt 14:14ss) è il vangelo a notare la sua compassione; oggi è Gesù stesso a rivelare il suo cuore ai suoi discepoli, dicendo loro che ciò che lo muove ad operare tra gli uomini è la sua compassione per loro: “Allora Gesù chiamò a sé i discepoli e disse: “Sento compassione di questa folla” (v.32). Il terzo banchetto di cui Matteo ci parlerà è l’ultima cena. E lì non cita la compassione di Gesù, perché sarà del tutto evidente nella sua offerta Pasquale di cui quella cena è l’anticipazione. Ora, nel banchetto della Messa che celebriamo, il Signore ci convoca e ci mostra la sua compassione per gli uomini, per donare anche a noi il suo stesso cuore compassionevole.