34 Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35 Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. 36 Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? 37 Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita? 38 Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi».
1 Diceva loro: «In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto giungere il regno di Dio nella sua potenza».
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Il rimprovero del Signore a Pietro nei precedenti vers.32-33 è il principio delle parole che oggi Gesù rivolge “alla folla insieme ai suoi discepoli”(ver.34). Dunque, non si tratta della vicenda di qualcuno, ma della strada percorsa da tutti coloro che vogliono seguirlo. Si tratta della nuova umanità che Gesù genera e inaugura con la sua Pasqua che da oggi diventa esplicitamente il fine e il cuore della sua presenza tra noi, cioè di chi “vuol venire dietro a me”. Così, questo cammino dietro a lui portando la croce diventa l’immagine forte della persona del discepolo. Il discepolo “rinnega se stesso”: la vita cristiana è l’incessante conferma del dono battesimale, come rinuncia e ripudio della mondanità violenta di Adamo e di Caino, e l’assunzione della vita nuova donata da Gesù. L’esistenza cristiana è questo incessante evento di morte-risurrezione.
In tal modo, tutto si capovolge, e le parole di Gesù esprimono efficacemente questo rovesciamento di senso e di obiettivi. Al ver.35 sono i due verbi “salvare” e “perdere” ad affermare il volto profondo di questa vita nuova in Gesù. Quello che mondanamente era “salvare” si converte a quello che era considerato “perdere” e che in Gesù diventa la presenza e la manifestazione del regno nuovo. La potenza del mondo è affermazione di sè attraverso il potere di dare la morte. La potenza della vita nuova è il dono di sè, il dono della vita. Questa è la chiamata e la responsabilità della vita cristiana. Questa è la presenza e la potenza nuova del regno di Dio nella storia dell’umanità.
E questo diventa il “giudizio” che il Vangelo di Gesù esprime nella storia, giudizio che il ver.38 descrive come il “vergognarsi” di Gesù e delle sue parole. E’ il giudizio che si compirà alla fine, quando il Figlio “verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi”. Ma già fin d’ora Gesù e la comunità raccolta intorno a Lui attraverso l’incessante conversione dei cuori e della vita esprimono questo “giudizio”. Mi sembra questo il significato più semplice e diretto del ver.9,1. Qui ritorna quel verbo “vedere”che ci ha accompagnato in questo tempo. Quando questi “alcuni” vedranno il regno di Dio nella sua potenza? Lo vedranno quando ravveduti e perdonati potranno celebrare nella loro umile vita e nelle loro povere persone, in comunione con Gesù, il sacrificio d’amore del loro Signore Gesù Cristo. Nella divina Liturgia e nella loro vita. Questi “non gusteranno la morte” (così alla lettera il “morranno del ver.9,1) “prima di aver visto giungere il regno di Dio nella sua potenza”. Regno che appunto si manifesta e si comunica nella partecipazione al sacrificio d’amore del Figlio di Dio. Ripudio della vanità e della violenza dei regni del mondo, e partecipazione al mistero del regno divino dell’Amore fino al dono di sè.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.