5 Gesù si mise a dire loro: “Guardate che nessuno v’inganni! 6 Molti verranno in mio nome, dicendo: “Sono io”, e inganneranno molti. 7 E quando sentirete parlare di guerre, non allarmatevi; bisogna infatti che ciò avvenga, ma non sarà ancora la fine. 8 Si leverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti sulla terra e vi saranno carestie. Questo sarà il principio dei dolori. 9 Ma voi badate a voi stessi! Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe, comparirete davanti a governatori e re a causa mia, per render testimonianza davanti a loro. 10 Ma prima è necessario che il vangelo sia proclamato a tutte le genti. 11 E quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi di ciò che dovrete dire, ma dite ciò che in quell’ora vi sarà dato: poiché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo. 12 Il fratello consegnerà a morte il fratello, il padre il figlio e i figli insorgeranno contro i genitori e li metteranno a morte. 13 Voi sarete odiati da tutti a causa del mio nome, ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato.
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E’ singolare, e di singolare importanza, che dopo aver annunciato con tanta forza la fine, Gesù ponga con altrettanta determinazione le severe norme di interpretazione che oggi ascoltiamo dalla bontà di Dio. Così dunque, al ver.5, l’avvertimento a priori:”Guardate che nessuno vi inganni!”. Come vedremo infatti, la fine del mondo e della storia ha tutta una sua fisionomia che la distingue da tutti gli istinti apocalittici che incessantemente sorgono nella storia dei popoli e delle culture. E il modo più diffuso di questa “apocalittica”mondana è la precisa identificazione, o addirittura l’auto-identificazione, di persone e di eventi che vogliono imporsi con tale forza da esigere di essere identificati con la fine stessa. Così, al ver.6, chi venisse addirittura nel nome di Gesù Cristo e dicesse quel “sono io” che nella tradizione ebraica è il nome stesso di Dio. Si tratta certamente di una finzione, con la quale peraltro “inganneranno molti”.
Così pure le grandi catastrofi della natura e della storia citate ai vers.7-8 non devono essere identificate con la fine! Tuttavia qui il Signore dà un’interpretazione di questi eventi che mi sembra particolarmente significativa. Quando infatti dice che tali eventi sono “il principio dei dolori”, usa un termine che indica precisamente i dolori del parto. Quindi mi sembra si possa ritenere che con Gesù Cristo entra nella vicenda umana un’interpretazione fortissima di ogni evento, anche il più grave, secondo la categoria della speranza e dell’esito positivo di tutta la storia. Un dolore non orientato verso la morte, ma verso la vita ,verso una vita nuova. Una declinazione pasquale donata alla vicenda umana e con essa all’intero cosmo! E questo appunto con un rovesciamento del “giudizio” che razionalmente si darebbe a tali eventi negativi.
Ma la più intima esperienza della fine dei tempi i discepoli di Gesù la troveranno in se stessi. I vers.9-13 tracciano rapidi schizzi sulla vicenda cristiana, dove quello che mi sembra si voglia affermare è la presenza potente del Signore Gesù, presenza che spiega il volto profondo dell’evento cristiano. Il ver.9 parla delle persecuzioni subite dai discepoli di ogni luogo e ogni tempo. Di tali persecuzioni si potranno dare tante letture, ma quella più profonda, più positiva e più feconda, è quella che ci dice che il senso della persecuzione è la possibilità di “rendere testimonianza” davanti agli stessi persecutori: per la loro stessa salvezza? Il ver.10 colloca tutto questo nel segno grande dell’ultima ora della storia che è il viaggio del Vangelo di Gesù verso “tutte le genti”. Mi sembra meraviglioso che questo dono universale del Vangelo sia il motivo segreto e profondo e lo scopo ultimo della storia che stiamo vivendo dalla Pasqua di Gesù al suo ritorno! Di tutto questo e in tutto questo lo Spirito del Signore è il grande regista e la guida. Perciò è necessario non preoccuparsi di ciò che si deve dire, perchè non siamo noi, ma è lo Spirito che in noi e da noi parlerà: così il ver.11.
I vers.12-13 ricordano la dolorosità che la fedeltà al Vangelo può arrecare alla fisionomia più profonda delle relazioni umane. Infatti il primato della relazione con Gesù chiede che ogni altra relazione sia relativa ad essa. Che dunque in ogni relazione interpersonale noi celebriamo la relazione fondamentale con Gesù. Certo che questa è la garanzia della bellezza e del valore di ogni relazione. Ma può anche essere la ragione della difficoltà di una relazione quando in essa s’impone una decisione nei confronti di Gesù e del suo Vangelo. Si dà per il cristiano l’ipotesi della solitudine totale e di un isolamento circondato da inimicizia e avversione: è l’esperienza della Passione di Gesù. Il ver.13 ci regala un verbo molto importante, direi centrale, per dire della vicenda cristiana. E’ quel “avrà perseverato” del ver.13. Un verbo intraducibile in modo preciso, e che dice la capacità e la determinazione a “rimanere sotto”, a sostenere, a non fuggire, a non voler reagire per predominare…E’ dunque il verbo che esprime il mistero della Croce. Siamo al cuore della testimonianza cristiana nella bufera della storia.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Il v. 10 è il fulcro del brano di oggi: il progetto di Dio è che “il Vangelo sia predicato a tutte le genti”, perchè Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati. L’operaio degno del Vangelo deve passare attraverso questi dolori, che sono come i dolori del parto, che producono la vita. Il discepolo del Signore deve passare attraverso queste tre serie di dolori: 1. quelli causati dalla presenza del male nella storia e nella creazione: guerre e cataclismi; 2. quelli che derivano dal rapporto con i popoli, a partire da Israele (“sinedri” e “sinagoghe”): p.es. il dolore di Paolo davanti al rifiuto del suo popolo; 3. da parte degli amici, di chi odia mentre ci si aspetterebbe amore. E’ chiesto a chi è strumento di questo annuncio del Vangelo a tutte le genti di rimanere fedele fino alla fine per la salvezza propria e di tutto il mondo.
Già nel brano precedente, Gesù rispondendo ai discepoli, sottolineava prima di tutto il pericolo di venire ingannati. In questo tempo è facile essere ingannati su di Lui e sulla fine dei tempi. Ricordiamo l’incontro di Elia con Dio, preceduto da segni grandiosi. Ma “Dio non era nell’uragano, nel terremoto, nel fuoco”, ma Dio era “in un mormorio di vento leggero”. Elia capisce che Dio è lì: è facile venire ingannati da eventi grandiosi che precedono, ma Dio non è lì, viene in seguito, con voce tranquilla. Ricordiamo anche la parabola del seminatore. C’era il pericolo di non arrivare alla fine, cioè di non perseverare fino alla fine. Le parole di Gesù di oggi “chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato” le intendiamo come una esortazione a vivere fino alla fine nella carità. Perchè il pericolo finale è che la carità di molti si raffreddi.
“Dite ciò che in quel momento vi sarà dato”: contiene l’insegnamento del valore di una grande spogliazione: essere armati soltanto della Parola dello Spirito. I rumori di guerra: DEVONO accadere. L’annuncio del Vangelo a tutte le genti: DEVE avvenire. Se delle guerre e delle calamità non viene detto perchè “devono” accadere, dei dolori dei discepoli, “dolori del parto” si dice che sono “per rendere testimonianza di Gesù davanti a tutti”, perchè il Vangelo sia predicato a tutte le genti.
Colpisce l’annuncio che sono “molti” quelli che possono venire ingannati (v.6) e che sia l’annuncio, che ciò che sembra essere ciò che si riceve in cambio, sia di “tutti”: Il Vangelo proclamato a tutte le genti (v.10), e (in cambio?) “sarete odiati da tutti!”(v.13). Cosa pensare al proposito? “Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato?”. Ricordiamo la risposta di Gesù ai discepoli che gli chiedevano stupiti: “Ma chi potrà allora essere salvato?”: “Questo è impossibile agli uomini, ma non a Dio. Perchè tutto è possibile presso Dio!” (Mc 10:26-27). Anche oggi, la speranza della nostra perseveranza la fondiamo sulla fedeltà di Dio.
L’accenno alle doglie del parto, il dolore che genera la vita, e l’invito alla perseveranza come “restare sotto” mi richiamano alla mente Rom 8, 22-25: “Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.”