32 Quanto poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre. 33 State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. 34 E’ come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. 35 Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, 36 perché non giunga all’improvviso, trovandovi addormentati. 37 Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!”.
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Il Vangelo secondo Marco raccoglie in questi pochi versetti conclusivi quello che Matteo e Luca sviluppano molto più ampiamente. Per questo, nella meraviglia di poche parole si raccoglie tutta la ricchezza di un insegnamento molto più esteso. Questo ci permette di cogliere meglio l’intreccio tra le due fisionomie privilegiate di interpretazione della storia: la responsabilità di ciascuno nell’assolvimento del proprio compito e la vigilanza verso il ritorno del Signore. In questo modo si evitano due pericoli ugualmente gravi: il primo è quello di un assorbimento nell’opera da compiere tale da farci dimenticare la sua tensione-dedicazione verso il Signore che ritorna e che ce ne chiederà conto; il secondo è quello di un’attesa apocalittica che diventa agitazione inoperosa e svalutazione di ogni responsabilità. Operare fedelmente è la via maestra per attendere la fine. Ma procediamo con ordine.
La ripresa del ver.32, sul quale ho ricevuto molte vostre domande per pensieri e problemi che possono sorgere intorno alla Persona del Figlio che può sembrare troppo “subordinato” rispetto al Padre – ma di questo cercavo ieri di tentare qualche spiegazione – ci conferma oggi, proprio attraverso l’insegnamento e l’esempio del Figlio di Dio Gesù Cristo nostro Signore, che veramente tutta la realtà guarda vesro il compimento che Gesù di Nazaret ha annunciato e inaugurato nella storia. Non ne sappiamo il momento preciso, dice il ver.33, e questo fa sì che dobbiamo stare attenti e vigilare.
La sostanza e il modo di questa vigilanza sono descritti con tre espressioni: la partenza del padrone della casa dopo averla lasciata ai servi; la consegna ad ogni servo di un’opera e del potere per compierla; l’ordine di vigilare. Mi pare sia chiaro che tutto è dato a tutti, come esplicitamente Gesù dice al ver.37:”Quello che dico a voi lo dico a tutti”. La fede dunque non è fatalistica irresponsabilità, ma pienezza di responsabilità: quello che è del Signore e che mi è stato affidato, è come mio.
Bellissima è anche la stretta connessione tra l’opera da compiere e la potenza per realizzarla. Lo vediamo in ogni persona, dal più piccolo dei miei bambini malati a chi è collocato in supreme responsabilità. E infine questo fondamentale imperativo di vigilanza, che riempie il presente del futuro, e quindi costringe a cercare e a collocare anche nelle più violente contraddizioni del presente la meraviglia futura della piena gloria del Signore. In questo modo tutto diventa preziosissimo, anche il compito e l’azione apparentemente più ordinari e più umili.
Si può riflettere come tutto ciò denunci e impedisca i due grandi pericoli che tendono incessantemente a ferire l’esperienza storica: un liberalismo forsennato che inevitabilmente si trasforma in rapina e possesso: invece niente è mio e tutto è del Signore, e peraltro tutto è affidato da Lui alla mia piena responsabilità; e un collettivismo irresponsabile perchè in ciò che non mi appartiene perchè è di Dio e quindi di tutti non ho ragioni per impegnare appassionatamente la mia persona, il mio tempo, le mie energie…
Alla mamma che domandava a S.Luigi Gonzaga seienne mentre giocava a palla che cosa avrebbe fatto se avesse saputo che sarebbe morto un’ora dopo, lui rispondeva:”Continuerei a giocare”. Quel bambino la sapeva lunga sulla responsabilità della storia. Il gioco, cambiato con il tempo nei suoi contenuti e nelle sue regole, lo avrebbe portato a ricevere la venuta del Signore pochi anni dopo, mentre condivideva e soccorreva la malattia con gli appestati di Napoli.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Dopo averci detto fino a questo punto “cosa è” il tempo che si apre con il cap. 14, e cioè il tempo della Sua passione, in questi vv. Gesù ci dice “come” viverlo. Ciascuno ha ricevuto dal padrone di casa “il suo compito”; e al portinaio viene detto di “vegliare”, con l’aggiunta, poi, che questo comando è detto in realtà a tutti: vegliate!,Per la coincidenza felice delle letture di domenica prossima, si può dire che le cose chieste a tutti, il modo più consueto di questo “vegliare” sembra essere il custodirci reciproco nella comunione, il perdono, la preghiera fatta insieme, efficacie più di ogni altra cosa. In particolare la 2.a lettura raccoglie tutto nel comando dell’amore, compimento perfetto di tutta la Legge.,La veglia è perciò vivere nell’amore. Questo uomo parte per un viaggio, lascia la sua casa presso il suo popolo. E’ Gesù alle soglie della sua passione, sta per “lasciare” la terra. Dio è stato in mezzo al suo popolo (come anche Ezech. ripetutamente queste mattine ci ricorda), ha preso la nostra carne. E ora, Gesù lascia la sua casa.,Ora è il tempo dell’attesa del suo ritorno, il tempo in cui la sposa attende con grande desiderio il ritorno del suo Sposo. La parola del Signore (Pro 8:34: “Beato l’uomo che mi ascolta, che veglia ogni giorno alle mie porte, per custodire attentamente la mia soglia”) e la voce amabile del Signore / Sposo (Cant 5:2: “Io dormo, ma il mio cuore veglia. Un rumore! E’ il mio diletto che bussa: ‘Aprimi sorella mia…’ “) è ciò che ci fa vegliare efficacemente nella carità (Eze 33:7: “ti ho costituito sentinella per gli israeliti: ascolterai una parola dalla mia bocca e tu li avvertirai da parte mia”).,Questa veglia e custodia reciproca nella carità è fondata su una grande fiducia: che il Signore è la sicura protezione di tutti i suoi (Sal 126:1 “Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode…”).
Il fatto che ci sia stato dato “potere” su qualcosa, non ci rende padroni della “casa”.
Abbiamo il potere di far bene il nostro compito
– bellissima la risposta di san Luigi bambino alla mamma (il suo compito, in quel momento, era quello di giocare) – e, se ciascuno lo facesse, la casa sarebbe come l’ha pensata da sempre il padrone, anche in sua assenza.
Il momento preciso è il kairòs. E’ il momento del ritorno del Signore, è il momento della nostra morte, ma è anche ogni momento della nostra vita, da cogliere come tempo in cui il Signore ci visita, ci chiama, attraverso un compito da svolgere, una casa da custodire, dei fratelli su cui vegliare. “Vigilate” ci viene ripetuto più volte. Essere attenti, accorgersi dei bisogni degli altri, questo è il segreto della vita, e ne abbiamo il potere! “O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa di Israele.” (Ez 33,7), questa parola ascolteremo domenica.