13 Mandarono da lui alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. 14 Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?». 15 Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». 16 Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». 17 Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». E rimasero ammirati di lui.
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Mi sembra importante cercare di cogliere l’importanza della Parola che oggi riceviamo dalla bontà del Signore soprattutto in riferimento al cammino che in questi giorni stiamo facendo. Perché dunque mi pare così importante il passaggio per questo episodio? Perché il punto centrale di quello che stiamo ascoltando, messo in evidenza dalla parabola dei vignaioli, è la comunione con Dio che ci ha affidato la sua vigna come segno e realtà della comunione tra noi e Lui , comunione che nel testo precedente ci è stata rivelata dalla figura del Figlio unico, l’Amato, che nel sacrificio d’amore restituisce Se stesso a Dio Padre. La vita cristiana è collocata interamente nel mistero dell’Amore: tutto abbiamo ricevuto. Tutto siamo chiamati a restituire. Tale è il frutto della vigna che nella parabola ci è stata affidata. La vigna, sia in riferimento alla creazione, sia in riferimento alla storia – storia personale di ognuno, come storia di tutto il genere umano – è l’immagine dell’orizzonte di comunione nel quale Dio ci colloca a vivere: comunione con Lui e comunione tra noi.
La reazione di Gesù e la risposta che Egli dà a quelli che vogliono coglierlo in fallo sta nell’ “immagine” sulla quale Egli li interroga: “Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?”(ver.16). Tale domanda ci porta all’inizio, alla creazione, quando Dio dice: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza”. Si tratta allora di capire a chi va fatta questa “restituzione”. Perché di restituzione si tratta! Tutto quello che siamo e tutto quello che abbiamo lo abbiamo ricevuto. Così, tutto dobbiamo restituire. Su questo punto decisivo capisco che si pone una questione capitale e in certo senso drammatica: non c’è dunque un’ “autonomia” dell’uomo, uno spazio grande, forse assoluto, del suo diritto e del suo possesso? A chi deve rendere se non a se stesso?
Anche a Cesare deve rendere quello che è di Cesare. L’orizzonte della fede non gli dà né il diritto né il dovere di appropriarsi di quello che non è suo. Ma vi è posta la norma fondamentale della fede e della vita: quello che è di Dio deve essere restituito a Dio! Obiezione decisiva nei confronti di ogni dominio idolatrico sull’uomo. “Quello che è di Dio”!! Che cosa non è di Dio? Tutto quello che c’è nell’umanità, nella sua vita e nel suo dramma come nella sua speranza porta in qualche modo l’immagine di Dio. In Gesù tutta l’umanità è figlia di Dio. E’ entrata, con Gesù, nella realtà di quel solo Figlio unico, l’Amato. A nessuno e a nulla si può “rendere”(ver.17), quello che nell’umanità è di Dio. Più che l’illusione di riservare all’uomo quello che sembra essere suo diritto, qui si afferma la speranza e la volontà divina di lasciare all’umanità la piena libertà del suo rapporto di piena comunione con Dio, dal quale tutto ha ricevuto e al quale solo rende la sua vita.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
Molto bello questo commento al brano di Marco, e oltre che bello è molto appropriato alla prassi di fede cristiana, al Vangelo di Gesù atto di amore al Padre e all’uomo: tutto deve essere restituito a Dio, non un atto di giustizia ma un atto d’amore, anche quando dò a Cesare quel che è di Cesare, perché anche Cesare deve restituire all’uomo ciò che riceve (atto di giustizia se non proprio d’amore)e a Dio come atto d’amore.