13 Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. 14 Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: “Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. 15 In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso”. 16 E prendendoli fra le braccia e imponendo loro le mani li benediceva.
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Queste parole sui bambini mi confermano circa la grande unità del testo evangelico. Il brano di oggi e quello di ieri si nutrono reciprocamente! In questa prospettiva “il regno di Dio”dei vers.14-15 è la glorificazione di quel mistero nuziale che qualifica la vita cristiana sin dal giorno del nostro battesimo.
Il ver.13 porta due verbi molto importanti. Dove in italiano dice che gli “presentavano” dei bambini, il vangelo usa un verbo caratteristico della liturgia, indicante la “presentazione” delle vittime dei sacrifici, proprio come nella nostra liturgia vengono presentati il pane e il vino che per la potenza dello Spirito diverranno il corpo e il sangue di Gesù offerto al Padre. In italiano è detto che i bambini erano presentati al Signore “perchè li accarezzasse”; ma così si perde una connessione importante con altri luoghi evangelici che abbiamo già attraversato nel testo di Marco. Il verbo è “toccare”. Lo abbiamo incontrato al cap.1 dove Gesù ha compassione del lebbroso e lo tocca, guarendolo. In Marco 3 molti malati vogliono toccare Gesù per essere guariti. La donna emorroissa e molti altri malati vogliono toccare Lui o almeno un lembo della sua veste. E in Marco 7 è ancora Gesù che tocca la lingua dell’uomo muto come in Marco 8 è richiesto di toccare gli occhi del cieco. Incontro dunque di salvezza per la comunione che si stabilisce tra le nostre infermità-piccolezze- debolezze, e la potenza divina di Gesù. Oggi mi sembra che il Signore voglia dirci che questi bambini sono la migliore rappresentazione di tutti i piccoli che entrano in comunione con Gesù.
La sgridata dei discepoli è molto grave e, purtroppo, a noi ben conosciuta. Non riusciamo a cogliere sino in fondo che Dio si è rivestito di piccolezza per abbassarsi ai piccoli. Noi lo rifacciamo grande, regale e intangibile. Lo “sacralizziamo”, mentre Egli si è umanizzato, o meglio, umanizzandosi ha mostrato il suo segreto più profondo. Ma, al ver 14, Gesù reagisce con una sgridata ancora più forte, bene espressa da un verbo più forte di quello della sgridata nostra.
A questo punto i bambini diventano luogo di insegnamento e di illuminazione. Loro, che nulla dicono e nulla fanno, sono per Gesù la rivelazione più alta delle “condizioni” necessarie per entrare nel regno di Dio. Mi è venuto in mente un bellissimo testo, Luca 14,28-33, che vi consiglio di guardare un momento, dove si dicono condizioni gravissime per mettersi nella strada di Dio, condizioni che concludono che…bisogna semplicemente rinunciare ad ogni risorsa nostra! Quando il ver.15 dice che bisogna accogliere il regno di Dio come un bambino, dice quella mitezza- accoglienza totale, che esige la piena beatitudine dei “poveri in spirito”, che sono coloro che nulla sono e nulla hanno, e fanno di questo la loro vera potenza di ingresso nel regno. Essi infatti sono la suprema provocazione nei confronti di Dio che non si lascia commuovere dalle nostre presunte grandezze, ma che si ferma davanti alle nostre fragilità-infermità, con la sua compassione infinita.
Per i piccoli è la benedizione di Dio!
Quando portano a Gesù dei bambini, alcuni vogliono impedirlo, e Gesù si sdegna. Davanti a questi bambini, invitati da Dio, e segno di tutti gli uomini, noi talvolta poniamo impedimento, dicendo che loro non sono degni. Gesù ci dice che non bisogna porre impedimenti, perché tutti possono essere toccati da Lui e benedetti.
I bambini indicano l’umiltà e l’obbedienza: essere simili a bambini è possibile per noi quando accettiamo di ricevere l’abbraccio e la benedizione di Gesù.
Prima di tutto il Signore ci conduce a riconoscere che c’è una somiglianza tra i bambini e Lui, tra i bambini e il Regno. E ci mette in guardia, affinché non ci inganniamo pensando che lo sappiamo trovare e conoscere, mentre invece né lo troviamo né lo conosciamo. Come accade nella parabola di quelli che restano fuori dalla festa, e si stupiscono: “Ma come? Noi siamo stati con te e abbiamo fatto miracoli nel tuo nome!”. E Gesù risponde: “Non vi conosco!”.
V. 15 “chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso!”. “Se uno non rinasce di nuovo (o “dall’alto”), se uno non rinasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel Regno dei cieli” (Gv 3:3, 5); “Se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel Regno dei cieli” (Mt 18:3). Tutti possono avere questo dono, di entrare nel regno dei cieli come bambini, attraverso la conversione continua.
I bambini “sono portati” (o “presentati”, o “offerti” v. 13) a Gesù, e Lui interpreta questo come il “venire” a Lui (v.14): quell’azione degli “affaticati e oppressi” che invita a sé per trovare riposo (Mt 11:28).
“Venire” a Gesù e “trovare benedizione e riposo” in Lui, che alla luce di Mt 11 e del brano di ieri vuole anche dire prendere il giogo soave di Gesù e rimanere con Lui, che è mite e umile di cuore, suoi coniugi.
E’ stata sottolineata la “fisicità” che traspare da questi versetti: Gesù tocca, abbraccia, benedice imponendo le mani. C’è chi sgrida, e Gesù che si indigna… Al centro della scena, i bambini che – come dice don Giovanni – non fanno nulla e non dicono nulla. Come è noto, i bambini nella società antica (ma in parte anche oggi, nelle nostre “civili democrazie”!) non contavano nulla: non avevano “voce in capitolo”, nessun ruolo, nessuna importanza… E’ confortante per noi, o almeno per molti di noi, che non abbiamo un ruolo importante e non godiamo di prestigio o altro. Proprio a queste persone è promesso l’accesso al Regno di Dio. Questo vuol dire che Dio pensa al loro “governo”, ha cura e sollecitudine per loro. Il prototipo di questi poveri di cui Dio si occupa, erano nell’antico testamento il povero e la vedova: dei più sfortunati e indifesi, si occupa il Padre. –